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ATTO TERZO 185


pra lontane prode che vorrebbe calcare, desiderando che il suo piede potesse segoire i suoi occhi, maledicendo il mare che si frappone, e giurando ch’ei lo diseccherà per aprirvisi un passaggio. Ecco in qual guisa io desidero la corona, posto a un’immensa. Distanza da lei; e dico con me stesso che toglierò gli ostacoli, cullandomi di cosa impossibile. Il mio occhio è troppo penetrante, il mio cuore troppo ardito, se la mia mano e le mie forze non sanno secondarli. Ma se è detto che non vi sia regno da sperare per Glocester, qual altro bene allora potrà offerirmi il mondo? Andrò io per consolarmi a porre il mio cielo e la mia felicità nelle braccia di una dama ornando il mio corpo con eleganza, per captivarmi il cuore delle belle con dolci parole e teneri sguardi? Oh pensiero di disperazione! cosa più impossibile per me che il procacciarmi venti corone! Ah! l’amore mi ha rinnegato nel seno stesso di mia madre; e per escludermi per sempre dal suo dolce impero, ha subornata la fragile natura, e l’ha indotta ad accordare le mie braccia da scheletro, come un arboscello diseccato; a porre un’odiosa montagna sul mio dorso, trono dove la difformità assisa insulta al mio grottesco corpo; a formare le mie gambe d’ineguale lunghezza; e togliere le proporzioni in tutte le parti della mia persona, facendo di me una specie di caos, simile all’informe feto dell’orsa, che non ha nascendo alcuna sembianza colla madre, fino a che ella colla sua lingua non l’abbia racconciato, e compito l’abbozzo della natura. Tale essendo, potrò io mai essere amato? Oh quale follia sarebbe il nudrir tale speranza! Ebbene, poichè questo mondo non m’offre alcun piacere, fuorchè quello d’imperare, di vessare, d’opprimere gli uomini, a cui la natura è stata più benigna che a me, io m’intratterrò fra i Soli d’una corona, e contemplerò questo mondo come un inferno, finochè questa mia testa, sopportata da questo tronco contraffatto, non ne da cinta. Or come avrò tale corona, se tante vite me la tolgono? ed io, come un viaggiatore smarrito per un bosco pienedi rovi spinod che mi trafiggono, cerco di aprirmi una via, e mi addentro ognor più non sapendo come rintracciare il sentiero della luce, e disperato quad di poterlo discoprire? Ma m’aprirò un sentiero, e mi toglierò da quest’ambascia con una mannaia sanguinosa. Io posso sorridere e uccidere sorridendo; posso dimostrar gioia anche quando l’angoscia mi rode il cuore; so bagnare di lagrime simulate le mie gote, adattare il mio viso a tutte le sembianze, e uccider co’ miei sguardi più uomini che non n’abbia uccisi il basilisco; so compiere la parte d’oratore meglio di Nestore, deludere con più arte d’Ulisse; e novello Sinone ottenere