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156 IL RE ENRICO VI


SCENA II.

Una stanza nel castello di Saudal vicino a Wakefield Della provincia di York.

Entrano Eduabdo, Riccardo e Montague.

Ricc. Fratello, sebbene io da più giovine, lasciami parlare.

Ed. No, io sarò miglior oratore.

Mont. Ma ho potenti ragioni da addurre. (entra York)

York. Come! Figli e fratello in discordia? Qual’è la vostra contesa? come incominciò?

Ed. Non è contesa, ma lieve controversia.

York. Intorno a che?

Ricc. Intorno a ciò che concerne Vostra Grazia, e noi: intorno alla corona d’Inghilterra, padre, che vi spetta.

York. Mi spetta? No, figlio, finchè il re Enrico vive.

Ricc. I vostri dritti non dipendono dalla sua vita o dalla sua morte.

Ed. Voi siete suo erede; godete dunque tosto dell’eredità; concedendo alla casa di Lancastro agio di respirare, essa alla fine potrà opprimervi.

York. Giura! di lasciarlo regnar in pace.

Ed. Ma per un regno ogni giuramento può essere violato: mille io ne infrangerei, per imperare soltanto un anno.

Ricc. No; Dio non voglia che Vostra Grazia divenga spergiuro.

York. Lo diverrò, se uso la forza.

Ricc. Mostrerò l’opposto se volete intendermi.

York. Nol potrai, figlio; è impossibile.

Ricc. Un giuramento è nullo quando non è fatto dinanzi a un magistrato legittimo che abbia autorità sopra quello che giura: Enrico non ne aveva alcuna avendo usurpato il trono, e poichè è esso che vi ha fatto giurare di rinunciare a’ vostri diritti, il vostro giuramento, signore, è irrito e vano. All’armi dunque; e pensa, o padre, quanto dolce cosa da il portare una corona, entro al cui circolo sta racchiuso l’eliso e tutto ciò che i poeti fingono di beatitudine e di felicità. Perchè indugiamo così? Io non posso arrestarmi, finchè la rosa bianca che porto non sia tinta nel vil sangue di Enrico.

York. Basta, Riccardo; sarò re, o morrò. Fratello, corri tosto a Londra, e incita Warwick a quest’opera. — Tu, Riccardo, andrai dal duca di Norfolk, e lo preverrai segretamente