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ATTO QUARTO 125


Cade. Non temo nè spada nè fuoco.

Smith. (a parte) Nè temere li debbo; la sua corazza è a prova di ciò.

Dick. (a parte) Ma mi sembra che del fuoco dovesse aver paura, essendo stato tante volte bruciato nelle mani per rapimento di montoni.

Cade. Siate prodi adunque, perchè il rostro capitano lo è, e vuole riformare lo Stato. Si vedranno in Inghilterra sette pani da un soldo venduti per un soldo. La misura di tre pinte ne conterrà dieci; e dichiarerò delitto di Stato il bere la piccola birra. Tutto regno si ridurrà in Comuni, e il mio palafreno andrà a pascolare in Cheapside. Allorchè sarò re, perchè re voglio essere...

Tutto il popolo. Dio salvi Vostra Maestà!

Cade. Vi ringrazio, buon popolo; non vi sarà più moneta; tutti berranno e mangieranno a mie spese; e io vestirò tutti con una medesima uniforme onde possano essere uniti come fratelli, a riverirmi quale sovrano.

Dick. Per prima cosa andiamo ad uccidere tutti i curiali.

Cade. Sì, questo si ha a compiere. Non è cosa deplorabile che della pelle d’un innocente agnello se ne debbano fare pergamene? E che la pergamena, su di cui la penna d’un uccello verrà segnato qualche carattere, uccider debba un uomo? Alcuni dicono che le api pungono: ma io dico ch’è la cera dell’ape che uccide: perocchè non mi sono mai valso del suggello fuorchè una volta, e non mai fui libero da poi. Ebbene? che v’è?

(entrano alcuni altri del popolo conducenti lo scrivano di Chatham)

Smith. Lo scrivano di Chatham: egli sa scrivere, leggere e fare i conti.

Cade. Oh mostruoso!

Smith. Fu preso mentre faceva libri pei fanciulli.

Cade. Vile scellerato!

Smith. Ha un volume in saccoccia con lettere rosse.

Cade. Dunque è un mago.

Dick. Sa far obbligazioni e scrivere abbreviato.

Cade. Me ne dolgo per lui. È un uomo di bella persona, sull’onor mio; e se noi trovo colpevole non morirà. — Avvicinati, uomo; bisogna ch’io ti esamini. Qual è il tuo nome?

Scriv. Emmanuele.

Dick. Il nome che i nobili sogliono scrivere in testa alle loro lettera. — Andrà male per te.