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ATTO QUARTO 123

nobiltà è scevra di paure. Io posso sopportare dolori assai più grandi di quelli che sia dato loro d’infliggermi.

Cap. Legatelo al timone e fate che più non parli.

Suff. Venite, soldati, mostratemi fin dove può giungere la vostra efferatezza! Possa questa mia morte non mai essere dimenticata! Grandi uomini morirono spesso per mano di vili malandrini. Un centurione romano e un empio facinoroso trucidarono il dolce Tullio; la mano del bastardo Bruto pugnalò Cesare; selvaggi isolani scannarono il gran Pompeo; e Suffolk muore ucciso da infami pirati. (esce trascinato da Whitmore e da altri)

Cap. Quanto a questi due, a cui abbiamo assegnato un riscatto, nostro piacere è che l’uno d’essi si diparta: venite perciò voi nosco, e lasciatelo andare. (escono tutti tranne ii primo gentiluomo; rientra Whitmore col corpo di Suffolk).

Whit. Questa testa e questo inanime tronco si rimangano qui finchè la regina che n’era amante abbia dato loro sepolcro.

(esce)

Gen. Oh barbaro e inumano spettacolo! io vo’ portare il suo corpo al re, e s’ei noi vendica, i suoi amici lo vendicheranno, o la regina almeno, a cui questo misero fu sì caro.

(esce col cadavere)


SCENA II.

Blackbeath.

Entrano Giorgio Bevis, e Giovanni Holland.

Gior. Vieni, e procacciati una spada, fosse anco di legno: essi sono stati veduti i due giorni scorsi.

Holl. Tanto più avranno bisogno ora di dormire.

Gior. Ti dico che Cade, il mercante, si propone di vestire lo Stato, e di fargli un abito nuovo.

Holl. N’han ben donde, perchè è assai spelato. Sì, lo ripeto, non v’è più allegria in Inghilterra, dacchè i nobili vi comandano.

Gior. Oh sciagurata età! La virtù non si ha in cale quand’è nel popolo.

Holl. La nobiltà si crederebbe disonorata vestendo la divisa dell’artigiano.

Gior. E perciò il consiglio del re non è composto che di pessimi artefici.

Holl. É vero: e nondimeno è detto: lavora nella tua vocazione: locchè vai quanto dire: che i magistrati siano industriosi: e perciò noi dovremmo essere magistrati.