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ATTO TERZO | 117 |
rebbe senza tale sfogo. Veleno sia dunque la loro bevanda! Fiele peggiore d’ogni fiele il cibo loro! Le loro viste più care quelle dei mortali aspidi! Il loro contatto più dolce somigli alla trafittura di una vipera! La musica che udiranno sia spaventosa come i sibili del serpe misti all’ululo dei gufi precursori di morte! Possano tutti i terrori che fanno orrendo l’inferno.....
Mar. Basta, amabile Suffolk, te stesso cruci così; e queste tremende maledizioni, come i raggi del sole riflettuti in uno specchio, si ripercuotono solo con forza sopra di te.
Suff. Foste voi che lo voleste, ed ora dite che io desista? Oh, ne attesto questo paese da cui sono bandito per sempre! Se le mie imprecazioni potessero aver effetto, vorrei passare una notte intera d’inverno a proferirne, ignudo, sulla cima di una montagna, dove i ghiacci non avessero mai permesso a uno stelo di germogliare, e mi parrebbe un minuto deliziosamente trascorso.
Mar. Ah, permettimi di pregarti di por fine a questo lamento. Dammi la tua mano ch’io la bagni colle mie lagrime: nè fare che la pioggia del cielo cada su di essa per cancellarvi i segni del mio dolore. Vorrei che questo bacio s’imprimesse eterno sulla tua mano, per ricordarti sempre queste labbra da cui si esalano mille sospiri per te! Oimè! volgi il capo, ond’io conosca interamente la mia disgrazia: essa non è finora che un sogno, e tale sarà sempre finchè mi starai accanto. Io otterrò la tua grazia, o, siine certo, sarò bandita io pure. Bandita! Già lo sono, poichè debbo diridermi da te. Va, non parlarmi; fuggi... oh, no, rimani! Così due amici condannati si abbracciano, e si dicono mille addii, più avversi assai a lasciarsi che a morire. Nondimeno, addio; e addio con te alla vita!
Suff. Così il misero Suffolk soffre mille esigli: un solo dal re, e da te tutti gli altri. Non è la mia patria ch’io lamento; tu sola lei. Un deserto sarebbe abbastanza popolato, se Suffolk godesse della sua celeste presenza: dove tu sei ivi è per me il mondo con tutti i suoi tripudii; dove non sei, è la morte. Più non mi reggo; vivi lieta e felice; io non avrò altra gioia che nel sapere che tu esisti. (entra Vaux)
Mar. Dove, Vaux, con tal fretta? Quali novelle?
Vaux. Corro ad annunziare a Sua Maestà che il cardinal Beaufort è in termine di morte. Una malattia subitana lo ha preso, e lo sforza ad aneliti disperati, e a bestemmiare i celesti e gli abitanti della terra. Qualche volta ei parla come se l’ombra dei duca Umfredo gli fosse al fianco: qualche volta chiama il re, e mormora al suo guanciale, credendo parlare a lui, i se-