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116 IL RE ENRICO VI


Suff. Degno era dei Comuni, vulgo inetto e villano, indirizzare un tal messaggio al loro monarca; ma voi, milord, lo assumeste con gioia, e ben lieto vi dimostrate nel dispiegare per esso la vostra eloquenza. Sappia però Salisbury, che tutto l’onore che gli verrà da ciò, sarà di far dire ch’ei fu l’ambasciatore di una vile plebaglia.

Comuni (dal di dentro) La risposta del re, o romperemo le porte.

Enr. Andate, Salisbury, e dite loro che son riconoscente di così tenera sollecitudine, e che quand’anche non vi fossi stato eccitato da essi, mio proposito era il fare quanto dimandano. Una voce segreta mi grida che gravi disavventure accadrebbero a questo Stato per opera di Suffolk. È per ciò ch’io giuro per la Maestà Suprema, di cui non sono qui in terra che l’indegno rappresentante, che dopo tre giorni Suffolk non verserà più la corruzione nell’aria ch’io respiro, sotto pena di morte. (Sal. esce)

Mar. Oh Enrico, lasciatemi difendere il nobile duca!

Enr. Insensata regina, ardite voi chiamarlo nobile? Non più, dico; osando difenderlo non farete che accrescere la mia rabbia. Quand’anche non l’avessi che detto, attenuto avrei la parola; il mio giuramento poi è cosa irrevocabile. — Se passati tre giorni sarai trovato in qualche parte della terra ove io regno, il mondo intero non ricomprerà la tua vita. — Vieni, Warwick, vieni con me; ho gravi cose da confidarti. (esce con War., i lordi, ecc.)

Mar. Possano le sventure e i dolori accompagnarvi! La desolazione del cuore e l’inconsolabile tristezza siano le amiche assidue dei vostri giorni! In due siete; l’inferno vi dia un terzo compagno, e una triplice vendetta segua sempre i vostri passi!

Suff. Cessa, gentil regina, da queste imprecazioni, e lascia che il tuo Suffolk prenda un doloroso commiato.

Mar. Oh, più codardo d’una donna e assai più debole! Non ardisci tu neppure maledire i tuoi nemici?

Suff. Morte li investa! Ma perchè li maledirei? Ah! se le imprecazioni potessero dar morte, come il succo della mandragora, io inventerei le più amare parole, velenose e orribili com’essa, e la mia bocca fremente le proferirebbe con maggiori segni d’odio implacabile che l’invidia dalla tinta livida non possa imaginarne o mostrarne dal suo antro detestabile. La mia lingua si turberebbe nella rapidità delle mie parole, i miei occhi scintillerebbero come le selci sotto l’acciaio, i miei capelli si rizzerebbero quasi fossero quelli di un demente; ogni mio muscolo travolto sembrerebbe maledirli; ed anche ora il mio cuore già troppo gonfio ti frange-