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114 | IL RE ENRICO VI |
Suff. Warwick, chi avrebbe dunque ucciso il duca? Io stesso e Beaufort l’avevamo sotto la nostra protezione, e spero, signore, che non ci reputerete carnefici.
War. Ma entrambi eravate contrarii al duca, e a voi affidata era la di lui guardia: è quindi probabile che trattato non lo abbiate da amico, e che agito abbiate in questa sanguinosa tragedia.
Mar. Voi sospettate quindi questi nobili d’essere autori della fatal morte di Umfredo?
War. Chi trova la giovenca senza vita e sanguinosa, e accanto ad essa vede il beccaio colla scure in mano, può egli non sospettare ch’ei l’abbia atterrata? Chi vede un uccello sgozzato nel nido dell’avoltoio, stenta egli forse ad immaginare chi gli abbia rapita la vita, sebbene l’avoltoio si presenti con artigli mondi di sangue? In questo fatto v’è una chiara evidenza.
Mar. Foste voi il carnefice, Suffolk? Dov’è il vostro coltello? Dove sono gli artigli di Beaufort?
Suff. Io non porto pugnali per uccidere i dormienti, ma ho una spada vendicatrice che, irrugginita nel riposo, si forbirà nel sangue d’un temerario che osa credermi reo d’un assassinio. Parla se l’osi, superbo Warwick credi tu ch’io sia complice della morte di Glocester? (escono il Cardinale, Sommerset ed altri)
War. Che non oserà Warwick, se il perfido Suffolk lo sfida?
Mar. Warwick non frenerà il suo carattere protervo, nè cesserà di accusare con insolente arroganza, quand’anche Suffolk lo sfidasse ventimila volte.
War. Signora, calmatevi; io vi dico rispettosamente che ogni parola che profferite in suo favore è di macchia alla vostra real dignità.
Suff. Lord vile e insensato, ignobile e villano! Se mai donna oltraggiò il suo sposo, certo è tua madre che lo fece, accogliendo ne’ suoi talami violati qualche paltoniere che innestò sul nobile tronco dei Plantageneti un turpe aborto. Tu sei il frutto della sua vergogna; tu non appartieni all’illustre razza dei Nevil.
War. Se il tuo omicidio esecrando non ti servisse di egida, e non temessi di togliere al carnefice la sua preda, redimendoti colla mia spada dall’obbrobrio che ti attende; se la presenza del mio sovrano non mi raffrenasse, io vorrei, falso e perfido codardo, sforzarti a chiedere perdono inginocchiato delle tue passate parole, e a confessare che parlasti della madre tua, e che tu stesso eri l’infame frutto al quale accennavi. Dopo tal confessione ti darei la tua mercede, e manderei la tua anima all’inferno, fatal vampiro degli uomini addormentati.