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ATTO TERZO 111


Suff. Vado a chiamarlo, mio nobile lord. (esce)

Enr. Signori, assidetevi ai vostri scanni. — Io vi prego tutti di esser miti verso il nostro buon zio e di non apporgli delitti di cui non vi siano prove manifeste.

Mar. Dio non voglia che malizia alcuna possa venire adoperata e che condannato sia un nobile innocente! Prego Dio ch’egli possa mondarsi d’ogni sospetto.

Enr. Ti ringrazio, Margherita, queste parole mi alleggeriscono il cuore... (rientra Suffolk) Ebbene? Perchè siete sì pallido? perchè tremate? Dov’è nostro zio? Che v’è di nuovo, Suffolk?

Suff. Morto! egli è nel suo letto, milord; Glocester è morto!

Mar. Ah! Dio nol voglia!

Car. Segreti giudicii di Dio!... Sognai stanotte che il duca era muto e non poteva proferire parola! (il re sviene)

Mar. Ah, milord...! soccorso, signori, il re pure è spirato!

Suff. Rialzatelo; dategli a fiutar qualche odore.

Mar. Correte, correte, soccorso! Oh, Enrico, apri gli occhi!

Suff. Egli rivive... signora, calmatevi.

Enr. Oh celeste Iddio!

Mar. Come state, mio grazioso signore?

Suff. Confortatevi, mio sovrano! confortatevi, pietoso Enrico!

Enr. Chi mi parla di conforti? Milord di Suffolk? Ei venne dianzi coll’accento funesto del corvo ad agghiacciare il mio sangue, ed ora crede che la sua voce, uscendo da un cuor mendace, che mi dice confortatevi, possa dissipare il suono di terrore di cui il mio orecchio è pieno? Non nascondere il tuo veleno con tali melate parole, non porre la tua mano sopra di me: astientene, dico: il tuo contatto mi fa rabbrividire come la puntura di un serpe. Sinistro messaggiere, va lungi di qui! Nelle tue pupille siede tremendo l’omicidio che spaventa il mondo. Non guardarmi, perchè i tuoi occhi uccidono..... Però non dipartirti..... vieni anzi, basilisco, e abbrucia col tuo sguardo l’innocente che ti mira: nell’ombre di morte troverò gioie: in vita noi potrei, ora che Glocester non è più.

Mar. Potete voi oltraggiare milord di Suffolk così? Sebbene il duca gli fosse nemico, egli da cristiano ne compiange la morte; e in quanto a me, ancor che avverso mi fosse, se le lagrime o i gemiti potessero giovargli, vorrei acciecarmi a forza di piangere, infirmare a forza di gemere, divenir pallida come un giglio a forza di sospiri, per ritornarlo in vita. Chi sa, ciò che il mondo dirà di me? La voce della nostra inimicizia era sparsa, e si potrà sospettare ch’io lo abbia fatto uccidere: così il mio nome sarà