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ATTO TERZO | 109 |
York. Che di peggio del nulla? Ma l’obbrobrio li colga tutti.
Somm. E te cogli altri che lo desideri!
Car. Milord di York, esperimentate qual’è la vostra sorte. I selvaggi Irlandesi sono in armi, e annaffiano le loro terre di sangue inglese. Volete voi condurre colà una banda di uomini eletti per farvi prova del vostro valore?
York. Lo farò, signore, se ciò piace a Sua Maestà.
Suff. La nostra autorità inchiude il suo assentimento; e quello che noi decretiamo ei lo conferma: addossatevi dunque questa cura.
York. Lo voglio. Pensate a’ miei soldati, signori, intantochè io do sesto alle mie cose particolari.
Suff. Questo si addice a me; ma torniamo al traditore Umfredo.
Car. Non più di lui. Io adoprerò seco in guisa, che per l’avvenire non ci infesterà più. Sciogliamo la seduta; il giorno è quasi finito, e debbo parlare con voi, Suffolk, di questo avvenimento.
York. Suffolk, fra quindici giorni io aspetterò a Bristol i miei soldati; di là salperemo per l’Irlanda.
Suff. Si eseguirà il voler vostro, nobile York.
(escono tutti tranne York)
York. Ora, York, indurisci come il ferro i tuoi nobili pensieri, e cangia i tuoi dubbii in risoluzioni. Sii quello che speri essere, o quello che sei abbandona alla morte, che non è degno di essere serbato. Lascia il timore dalla pallida faccia agli uomini nati in basso stato; ricetto non debbo avere in un cuor regio. Spessi, come le gocciole di pioggia in primavera, i pensieri ai pensieri succedonsi in me, e uno non ve n’ha che non si aggiri intorno al trono. Il mio cervello, più alacre del laborioso ragno, intesse noiose trame a’ miei nemici. — Bene, miei duchi, bene, è opera della vostr’alta prudenza l’inviarmi lontano alla testa di un esercito. Ma temo che in me non riscaldiate il serpe che, carezzato nei vostri petti, finirà per trafiggervi il cuore. D’uomini appunto difettavo, e voi me ne date: volentieri gli accetto; e siate certi che ponete armi aguzze nelle mani di un forsennato. Intanto che io mi rendo amiche in Irlanda schiere valorose, suscito in Inghilterra qualche nera tempesta, il di cui soffio manderà dieci mila anime in cielo o in inferno: e tale empia tempesta non cesserà di infuriare finchè non sia sopra il mio capo l’aureo diadema che come sole glorioso dissiperà le nubi. Per ministro del mio intento ho già sedotto quell’indomito Cade di Ashford che ha precetto di portare la ribellione al suo ultimo stadio, sotto il nome di Giovanni Mortimero. In Irlanda lo vidi quel feroce disfidare con au-