Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, V-VI.djvu/114


ATTO TERZO 105

dono ch’io avessi accettato esser prodotto contro di me nel dì del mio eterno giudizio! No! molto oro mio ho invece speso per soldo di quei presidii onde non tassare le impoverite Comuni; e di esso non ho mai chiesto restituzione.

Car. Ben vi sta, milord, di dir così.

Gloc. Non dico che la verità, così mi aiuti il Signore!

York. Nel vostro protettorato inventaste strane e inaudite torture pei rei; da cui l’Inghilterra ebbe nota di tirannia.

Gloc. Oh! è chiaro a tutti, che mentre fui Protettore la pietà fu il solo fallo di cui mi rendessi colpevole; perocchè io mi intenerivo alle lagrime del delinquente e poche parole di penitenza riscattavano ogni colpa. Tranne quando fossero feroci masnadieri o inumani aggressori, io non mai infliggevo con degno castigo. L’omicidio solo che sparge il sangue dell’uomo, non ha trovato grazia nel mio cuore e l’ho punito più rigorosamente d’ogni altro misfatto.

Suff. Milord, cotesto accuse son vaghe ed è ovvio il rispondervi: ma fatti più gravi son posti a vostro carico: fatti dei quali non sarà facile lo scolparvi. Vi arresto per delitto di lesa maestà e vi affido alla custodia di milord Cardinale che vi terrà fino al tempo del vostro giudizio.

Enr. Milord di Glocester, mia speranza sincera è che vi purgherete di ogni sospetto: il mio cuore mi dice che siete innocente.

Gloc. Ah! grazioso signore, questi giorni sono pericolosi. La virtù è soffocata dall’avida ambizione, e l’umanità cacciata da questa corte per mano dell’odio. L’orribile frode è assisa sopra gli altari, e l’equità espulsa dalla terra in cui regnate. So ch’essi tramano contro la mia vita; e se la morte mia potesse ricondurre la felicità in quest’isola e segnare il termine della loro tirannide, l’incontrerei con gioia. Ma la mia morte non è che il preludio dei loro furori; perocchè mille altri, che son ben lungi dal sospettare il pericolo, non vedranno il fine della sanguinosa tragedia che costoro maturano. Gli occhi rossi e scintillanti di Beaufort mostrano il fiele del suo cuor perverso; e le nubi di cui la fronte di Suffolk è coperta presagiscono le tempeste del suo odio. L’acre Buckingham si ricrea coi vilipendii della lingua del peso dell’invidia di cui trabocca il suo petto; e il cupo York che cerca nella luna le corone, York di cui ho trattenuto e incatenato lungo tempo il braccio baldanzoso, si vendica oggi con bugiarde accuse e intende a rapirmi la vita. Voi stessa infine, signora, voi, mia sovrana, in lega cogli altri, voi avete, senza che ve ne abbi a dato alcun motivo, imprecato mina sulla mia