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100 | IL RE ENRICO VI |
gioisce de’ mie! pianti e dei miei gemiti profondi. I sassi spietati squarciano i miei deboli piedi; e quando fremo di dolore, il popolo crudele ride de’ miei mali e mi ammonisce d’esser canta nell’andare. Ah! Umfredo, poss’io tollerare tanta infamia? Credi tu ch’io vorrò mai più gittare uno sguardo su questo mondo, o chiamar felici coloro che godono della luce dei dì? No: l’oscurità sarà la mia luce; la notte il mio giorno; la memoria della mia grandezza passata l’inferno mio. Qualche volta ricorderò che son moglie del duca Umfredo, principe e sovrano legislatore di questo paese. Nondimeno tale è la sua volontaria dipendenza, tale la pazienza di questo principe, ch’ei tace e riman placido, intantochè la sua compagna piangente beve a larghi sorsi nella tazza del disprezzo, e si vede oggetto degli sguardi e bersaglio alle offese della più villana plebaglia. Continua, aderisci a’ tuoi voti, non arrossire della mia ignominia, non fiatare, finchè la scure della morte non si alzi sopra il tuo capo, come, te ne fo fede, in breve farà; perocchè Suffolk, quell’uomo assoluto e tiranno a cui nulla è impossibile, otterrà tutto da colei che ci abborre; e York e l’empio Beaufort, prete senza fede, steso hanno il laccio in cui resterai avvinto. Vorrai allora invano fuggire; essi ti stringeranno sempre di più ma continua, continua senza sospetti, senza diffidenza; non adottare alcuna cautela contro ai tuoi nemici, fino a che il tuo piede non sia nell’abisso.
Gloc. Ah! cessa, cessa, Eleonora. Forza è che io sia colpevole, prima d’esser convinto. Avessi venti volte tanti nemici, e ognun di loro mi apparisse con centuplicate forze, tutti insieme non potrebbero farmi provare il più lieve corruccio, mentre fossi leale, fedele e mondo di rimproveri. Tu vorresti che il mio braccio si fosse opposto alla tua punizione? Credimi, la tua vergogna non ti sarebbe stata tolta pel mio attentato, e reo io sarei divenuto per l’infrazione della legge. Eleonora, la rassegnazione è il solo e il più gran rimedio a’ tuoi mali. In nome del Cielo e della mia tenerezza, sii in calma! questi giorni di pena e di umiliazione verranno in breve obbliati. (entra un Araldo)
Ar. Invito Vostra Grazia a comparire al parlamento di Sua Maestà, che sarà tenuto a Bury il primo del prossimo mese.
Gloc. Non mai la mia presenza fu richiesta con tanta solennità! A meraviglia; verrò. (esce l’Araldo) Mia Eleonora, addio: voi, sceriffo, se la vostr’anima è sensibile, non fate che la sua pena ecceda la sua sentenza.
Scer. Il mio ufficio si compie qui, milord; e sir Giovanni Stanley deve ora condurla nell’isola di Man.