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92 IL RE ENRICO VI


Sim. Oimè! buon signore, mia moglie desideraya qualche frutto, e mi faceva salire a rischio della vita.

Gloc. Scorto malandrino, le tue arti non ti gioveranno. — Lasciami vedere i tuoi occhi. Chiudili... aprili... parmi che tu non ci vegga ancor bene.

Sim. Sì, milord, e ne ringrazio Dio e sant’Albano.

Gloc. A me lo dici? Di che colore è questo mantello?

Sim. Rosso, milord, rosso come il sangue.

Gloc. Ti apponi: ma di che colore è il mio abito?

Sim. Nero, nero come i carboni, come i corvi.

Enr. Tu sai dunque di qual colore sono i corvi?

Suff. E nondimeno io credo che egli non mai ne vedesse.

Gloc. Ma mantelli ed abiti ne avrà veduti in copia prima d’oggi?

Moglie. Non mai prima d’oggi, in tutta la sua vita.

Gloc. Dimmi, mariuolo, qual è il mio nome?

Sim. Oimè! signore, nol so.

Gloc. Qual è il suo nome?

Sim. Nol so.

Gloc. Nè il suo tampoco?

Sim. No, in verità.

Gloc. Qual è dunque il tuo?

Sim. Saunder Simpcox, così vi piaccia, signore.

Gloc. Siedi dunque qui, Saunder, il più insigne impostore di tutta la cristianità. Se tu fossi nato cieco, avresti così bene potuto conoscere i nostri nomi, come distinguere i vani colori che portiamo. L’occhio avrebbe ben potuto discernerli; ma nominarli era impossibile. — Signori, sant’Albano ha fatto un miracolo; ma non istimereste egualmente miracoloso il rendere a questo zoppo l’uso delle sue gambe?

Sim. signore, così il poteste.

Gloc. Magistrati di Sant’Albano, non avete uffiziali di giustizia nella vostra città, e strumenti chiamati scudisci?

Pref. Sì, milord, così vi piaccia.

Gloc. Mandate dunque a prender d’entrambi.

Pref. Amico, adempi all’ordine. (esce uno del seguito)

Gloc. Ora mi si trovi uno sgabello. — Amico, se vuoi sottrarti alle sferzate, mestieri ti è il saltare questo sgabello, e correr via.

Sim. Oimè! signore, io non posso stare in piedi: mi crucierete invano. (rientra quello del seguito cogli ufficiali)

Gloc. Ebbene, vi farem trovare le vostre gambe: ufficiali, sferzatelo finchè egli abbia saltato lo sgabello.