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372 NOTA


possibile, nell’Enrico V, di assegnare alla guerra un luogo secondario; non restava dunque a Shakspeare altro espediente per renderne drammatico il successo, che di prepararla anticipatamente per via di cause morali; ciò ch’egli fece con molto artificio. Egli presenta dall’una parte, sotto vivacissimi colori, quella impaziente leggerezza dei generali francesi che innanzi la battaglia d’Agincourt faceva loro riputare il segnale della pugna come quello della vittoria: ne mostra dall’altra il re inglese ed il suo esercito, che, ridotti a pessimi termini, e fra le angoscie della disperazione, pigliano la ferma risoluzione d’incontrare almeno onorevole morte. Per tal guisa egli contrappone i caratteri delle due nazioni, e ciò fa con molta parzialità per la sua patria, ma in questo un poeta è scusabile, sopì atutto quando può allegare un fatto memorando, come la battaglia d’Agincourt. In questo dramma, Shakspeare circondò i grandi avvenimenti della guerra d’una quantità di fatti caratteristici e individuali, che pure alcuna volta sono comici; quindi egli introduce sulla scena un tardo Scozzese, un ardente Irlandese, un Gallese pedante, ma pieno d’onore e di buone intenzioni, e tutti e tre parlano il loro dialetto particolare. Egli volle con questo far vedere che il genio bellicoso di Enrico V avea raccolto sotto le sue bandiere non solamente gl’Inglesi, ma i popoli britannici eziandio, che pur non contava fra’ suoi sudditi, o che erano allora intimamente aggregati al suo impero. Alcune delle caricature del seguito di Falstaff si riveggono ancora alla coda dell’esercito; ma Enrico spiega la severità della sua disciplina militare con rimandar vergognosamente una tal ciurma in Inghilterra. Nondimeno il poeta non istimò sufficiente tutta la varietà di questi differenti personaggi ad avvivare un dramma, l’unico soggetto del quale era una conquista; e però volle aggiungere al principio di ciascun atto una specie di prologo cui davasi allora il nome di Coro. Egli congiunse in quei poemetti la maestà epica all’ardimento lirico. La descrizione dei due campi avanti la battaglia è particolarmente un quadro notturno della più sublime bellezza. Il fine generale di quei brani di poesia è d’avvertire lo spettatore che non si possono spiegare sul teatro in tutta la sua grandezza gli avvenimenti che si hanno in mira, e d’indurlo a supplire colla propria imaginativa ad una rappresentazione difettosa. Siccome il soggetto non è veramente drammatico, Shakspeare uscì da’ limiti del genere; e tolse a cantare, a guisa d’araldo, ciò che non si poteva per lui render visibile, anzi che rallentare il corso dell’azione con mettere lunghi racconti in bocca de’ suoi personaggi. Il poeta medesimo confessa «che lo spettacolo di quattro o cinque fioretti spuntati, e goffamente intrusi in una ridicola pantomima di combattimento, non può che disonorare il nome d’Agincourt»; e lo scrupolo che traspare da tale confessione (come che Shakspeare non l’abbia avuto relativamente alla battaglia di Filippi e al-