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294 | ENRICO IV - ATTO QUINTO |
espone il mio dorere, col mio discorso vi chieggo perdono. Se fantasticate ora un bel ragionamento, sono perduto; perocchè ciò che debbo dirvi è di mia invenzione, e dubito condurrà a fine la mia ruina. Ma al proposito e il resto si lasci alla ventura. — Sappiate dunque (come ben sapete), che comparvi non ha molto qui al tramonto d’un dramma infelice, per chiedervi indulgenza per esso, promettendovene uno migliore. Allora io intesi parlare di questo per sdebitarmi con voi: ma se, per mala sorte, questo ancora non riesce, io fallirò; e voi, miei gentili creditori, perderete tutto con me. Vi promisi che qui sarei venuto, e qui affido il mio corpo alla vostra misericordia: alleviatemi un poco del debito, e ve ne salderò una parte, e, come molti debitori fanno, vi darò promesse all’infinito.
Se la mia lingua non sa indurvi a condonarmi il passato, vorrete voi impormi di usar delle gambe? E nondimeno sarebbe un ben lieve pagamento, il saltellare così fuori del proprio obbligo. Ma una buona coscienza farà tutto quello che può, e così voglio far io. Tutte le gentili donne che stanno qui, mi han già assolto; se i gentiluomini nol vogliono, allora essi non si accordano colle gentili donne, il che non fu mai veduto per lo innanzi in questa assemblea.
Una parola ancora, ve ne supplico. Se non siete troppo fastiditi della carne grassa, il nostro umile autore continuerà la storia con sir Giovanni, e vi farà ridere parlando della bella Catrina di Francia: e per quanto ne posso sapere, Falstaff morirà di sudore, a meno che non sia già stato ucciso dal vostro malcontento: perocchè Oldcastle soccombè martire, e questi non è il medesimo uomo. La mia lingua è stanca; quando le mie gambe lo saranno ugualmente, vi augurerò la buona notte: con queste mi prostro innanzi a voi, e prego Cielo per la regina.
fine del dramma.