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ATTO QUINTO 293


Shall. Sì, è vero, sir Giovanni; e vi scongiuro di darmele tosto.

Fal. Ciò è ben difficile, messer Shallow. Non vi spaventate di quanto avvenne; ei mi farà chiamare in segreto, chè dinanzi al mondo, è ben necessario che assuma tal tuono. Non temete pel vostro avanzamento; io sarò l’uomo che vi farà grande.

Shall. Non veggo in qual modo, a meno che non mi diate il vostro mantello, e non mi empiate di paglia gli stivali. Vi prego, buon sir Giovanni, datemi almeno cinquecento delle mie mille lire.

Fal. Signore, non mancherò alla mia parola: quello che udiste non fu che una beffa.

Shall. Una beffa, temo, a cui non vi sottrarrete, sir Giovanni.

Fal. Non vi prenda pensiero di ciò; venite con me a pranzo. Andiamo luogotenente Pistol; andiamo, Bardolfo, sarò chiamato a corte appena annotti. (rientra il principe Giovanni, il lord capo della giustizia, uffiziali, ecc.)

Lord. Ite, conducete sir Giovanni Falstaff al naviglio; vadano con lui anche tutti i suoi compagni.

Fal. Milord, milord....

Lord. Non posso ora parlare: fra breve vi udrò. Si eseguisca il mio ordine.

Pist. Se fortuna me tormenta, spero me contenta. (escono Fal. Shall. Pist. Bara. Pag. e uffiziali)

Gio. Amo questa condotta nobile del re: egli vuole che i suoi antichi compagni siano tutti trattati al disopra pure dei loro bisogni. Ma gli allontana, finchè appreso abbiano linguaggio più dicevole per venire al cospetto del pubblico.

Lord. Ciò appunto fa.

Gio. Il parlamento è già raccolto, se non erro?

Lord. Sì, principe.

Gio. Giurerei che prima del termine di quest’anno porteremo i nostri litigii domestici e il nostro fuoco nativo almeno fino in Francia. Udii un uccello che cantando presagiva ciò; e il suo concento, a quanto parvemi, piacque all’orecchio di Sua Maestà. Venite, volete che usciamo? (escono)

EPILOGO

Detto da un danzatore.

Prima il mio timore; poi la mia riverenza; infine il mio discorso. Il mio timore è il dispiacer vostro; la mia riverenza