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ATTO QUARTO 277

il proprio sangue, li sconterò senza misura. Così tu a me devi questa corona che ha da scendere dal tuo capo sul mio. (adattandosela alla testa) Eccola; già qui sta; il Cielo ve la manterrà, e quand’anche il mondo volgesse le sue forze nel braccio di un gigante, non mi potrebbe strappare questa corona ereditaria, che, da te ricevuta, o mio padre, trasmetterò a’ miei figli, come tu a me la trasmettesti. (esce)

Enr. (rinvenendo) Warwick! Leicester! Clarenza!

(rientrano tutti i principi)

Clar. Ne chiama forse il re?

War. Che vuole Vostra Maestà? Come sta Vostra Grazia?

Enr. Perchè mi lasciaste qui solo, miei lórdi?

Clar. Lasciammo il principe mio fratello con voi, mio sovrano; egli volle vegliarvi accanto.

Enr. Il principe di Galles? Dov’è? Fate che io lo vegga. Ei non è qui.

War. Questa porta è aperta; sarà uscito.

Humf. Ei non passò per la stanza ove noi eravamo.

Enr. Dov’è la corona? Chi la tolse dal mio guanciale?

War. Quando ci ritirammo, mio sovrano, essa vi era.

Enr. Il principe l’ha dunque presa... ite, fatene ricerca: ha egli così gran sete di regno da mutare il mio sonno nella mia morte? Cercatelo, milord di Warwick, forzatelo a venir qui. (War. esce) Questo suo procedere si collega al mio male e affretta il mio termine. Vedete, figli, quello che siete: con quale prontezza divenite ribelli e snaturati, tosto che l’oro scintilla dinanzi ai vostri sguardi! È dunque per tal ricompensa che padri folli si dibattono nei loro sonni, s’aggravano di cure, faticano in mille guise? È per tal ricompensa che intendono ad accumular ricchezze con tanto sudore? Tale è la gratitudine che poi trovano? Oimè! i padri hanno il destino dell’ape: come noi, essa liba il succo d’ogni fiore e ne fa doviziosa la sua arnia; e come essa siamo uccisi per mercede. Questo amaro sentimento compie lo strazio di un padre moribondo. (rientra Warwick) Ebbene, dov’è il figlio che non vuole aspettare che l’infermità che lo seconda m’abbia condotto al mio termine?

War. Signore, ho trovato il principe nella stanza vicina, col volto inondato dalla sua tenerezza, mostrante tutti i segni del dolore più profondo e in uno stato sì compassionevole, che la tirannia, che non si pasce che di sangue, non avrebbe potuto astenersi vedendolo d’annaffiare il suo pugnale con pianti di affanno. Eccolo.