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48 | il re lear |
ATTO TERZO
SCENA I.
Folta boscaglia. La tempesta mugge, accompagnata da tuoni e lampi.
Entrano Kent e un Gentiluomo da diverse parti.
Kent. Chi è costà con sì orrido tempo?
Gent. Un uomo, di cui l’anima è, come il cielo, piena di tempeste.
Kent. Vi conosco. Dov’è il re?
Gent. Contende cogli elementi sdegnati. Grida ai venti d’enfiare, di sollevare i flutti dell’Oceano finchè questi trascinino la terra ne’ loro abissi, onde la natura muti o s’annienti. Si strappa i bianchi capelli, che l’impetuoso aquilone investe e disperde senza pietà per l’aria, e con parole incitataci schernisce l’insufficienza dei venti e delle bufere. In quest’orribile notte, in cui l’orsa esausta di latte si rimane nella sua caverna; in cui i lupi e leoni, malgrado la fame che li preme, non cercano che di stare al coperto, ei corre col capo ignudo per la pianura, e invoca con alte grida la morte.
Kent. Ma chi è con lui?
Gent. Nessuno, tranne il pazzo, che cerca di calmare colle sue celie il cuore del re, straziato da tante ingiurie.
Kent. Signore, vi conosco; e per la stima che vi porto oso confidarvi un messaggio che mi è ben caro. Esistono male intelligenze fra i duchi d’Albanìa e di Cornovaglia. Sebbene il loro odio sia ancora nascosto sotto il velo d’una dissimulazione reciproca, pure hanno domestici (e chi fra quelli che il destino ha posto in trono, e in seno alle grandezze, è esente da questo flagello?), hanno domestici che, facendo sembiante di fedeltà, servono di spie alla Francia, e la istruiscono di quanto accade nei nostri Stati. Come intravveduta siasi questa trama, dirvi non saprei; ma ciò che è certo è, che un esercito inviato dalla Francia investirà questo regno. Già i nemici profittando saviamente della nostra negligenza e delle nostre divisioni, si sono assicurati un accesso segreto nei nostri migliori porti, e stanno per ispiegare arditamente le loro bandiere. — Ecco ora quel che debbo dirvi. Se bastante fiducia ho potuto inspirarvi perchè crediate in me,