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ATTO QUINTO



SCENA I.

L’accampamento del re, vicino a Shrewsbury.

Entrano il re Enrico, il principe Enrico, il principe Giovanni di Lancastro, sir Gualtiero Blunt e sir Giovanni Falstaff.

Enr. Come s’innalza rosso e sanguinoso il sole dalle foreste che coronano quelle montagne! Il giorno impallidisce all’aspetto di quell’astro minaccioso.

P. Enr. Il suo cruccio si annunzia di già colla voce dei venti meridionali: il sordo muggito ch’essi mandano fra le foglie predice un dì di sciagure e di tempeste.

Enr. Lasciamo che gli elementi infieriscano a loro posta: non v’è giorno sì orribile che bello non somigli a chi vince (squillo di trombe; entrano Worcester e Vernon) Ebbene, milord Worcester? Noi non dovremmo incontrarci qui insieme per una tal causa. Voi avete delusa la nostra aspettativa, e ci avete costretti, a deporre le lievi vesti della pace per addolorare le nostre membra caduche e livide col ferro inflessibile. Questo non è bene, milord. Che potete risponderci? Volete voi sciogliere il nodo di una guerra aborrita da tutti, e rientrare in quella sfera d’obbedienza, in cui brillavate di splendore sì puro e naturale? Volete cessare di somigliare a una meteora esalata dalla terra, fenomeno di terrore, e presagio di calamità generale pei secoli avvenire?

Worc. Degnatevi ascoltarmi, mio sovrano. — Per ciò che si riferisce a me, sarei certo lieto di passare in pace gli ultimi giorni della mia vita, perocchè vi giuro ch’io non ho cercato il giorno di questa sinistra separazione.

Enr. Voi non l’avete cercato? Come è dunque venuto?

Fal. La ribellione stava sulla sua via, ed ecco come ei l’ha trovata.

P. Enr. Taci, civetta, taci.

Worc. È piaciuto a Vostra Maestà di togliere da me e da tutta la mia casa gli sguardi del vostro favore, quantunque, se ben rammentate, fossimo noi i primi e i più cari fra i vostri amici. Fu per voi ch’io ruppi il bastone del mio comando sotto il regno