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192 | enrico iv |
Fal. Ascolta, Enrico, tu sai che nello stato d’innocenza Adamo fallì; e che puote far in questo secolo corrotto il povero Giovanni Falstaff? Tu vedi bene che v’è in me più carne che in ogni altro, per conseguenza più fragilità. — Confessate voi adunque d’avermi vuotate le saccoccie?
P. Enr. Pare di sì, secondo la storia.
Fal. Ostessa, ti perdono: va ad imbandir la colazione; ama tuo marito; veglia sui tuoi domestici; festeggia i tuoi ospiti; mi troverai mansueto quant’è di ragione; e vedi già che sono riconciliato. — Rimani ancora?... No, prego, vattene. (l’ostessa esce) Ora, Enrico, torniamo alle novelle di corte: al furto, garzone, come si rispose?
P. Enr. Mio dolce Rostbeef, convien ch’io sia sempre il tuo buon angelo. Il denaro è restituito.
Fal. Ma tali rendimenti non mi piacciono: ciò mi arreca un doppio supplizio.
P. Enr. Io sto in pace con mio padre e posso fare tutto quello che voglio.
Fal. Ruba dunque il tesoro regio e sia questa la tua prima opera; affrettati e segua ciò al tuo risvegliarti, anzichè ti sian lavate le mani.
Bard. Fâllo, milord.
P. Enr. Ho procacciato a te, mio Giovanni, un posto nella fanteria.
Fal. Mi sarebbe piaciuto di più fra i cavalli. Dove troverò io un altr’uomo che sappia rubare a dovere? Oh quanto pagherei un sagace ladro di venti o ventidue anni! ma sono sprovvisto di tutto. Dio nullameno sia benedetto! I ribelli non se la pigliano che colle oneste persone: lodi siano loro!
P. Enr. Bardolfo...
Bard. Milord.
P. Enr. Va a portar questa lettera a Giovanni Lancastro, mio fratello: quest’altra a milord Westmoreland. Animo, Poins, a cavallo: perocchè, tu ed io abbiamo ancora trenta miglia da fare prima del pranzo. Tu, mio amato sir Giovanni, vienmi a trovar dimani nella sala del Tempio, a due ore dopo il meriggio: là saprai qual è il posto che ti si assegna e avrai istruzioni e denaro. La campagna è in fuoco: Percy tocca al culmine della gloria; convien ch’egli od io discendiamo da più di un gradino. (esce con Poins e Bardolfo)
Fal. Onorate parole! Magnanimo mondo!..... ostessa la mia colazione, vieni.... oh! vorrei che questa taverna fosse il mio tamburo. (esce)