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atto secondo | 179 |
Lad. Tu non puoi più amarmi? Tu più non mi ami? Ebbene, non amarmi: perocchè se non mi ami più, non amerò più me stessa. Mi dicesti che più non mi ami? Ah! lo dicesti con senno?
Hot. Via, vuoi tu vedermi salire a cavallo? allorchè sarò in sella, ti giurerò che ti amo senza misura. — Odi, Caterina: non vuo’ più che tu mi parli del luogo in cui vado. Vado dove m’è forza andare; e debbo assolutamente lasciarti stasera, mia dolce amica. So che sei una donna di senno, ma non più ch’essere lo possa la sposa di Percy. So che sei fida e costante; ma sei pur sempre donna: e in quanto alla cautela, alcuna signora non conserverà mai meglio un segreto di te: perocchè suppongo che il mio non lo rivelerai, ignorandolo: ed ecco fin dove giunge la mia confidenza in te, vaga Caterina.
Lad. Fino a ciò giunge?
Hot. Non un dito più in là. Ma odimi, amica mia. Dove io vado tu pure andrai: io parto oggi e tu dimani. Sei paga, Caterina?
Lad. Forza è bene ch’io lo sia. (escono)
SCENA IV.
Eastcheap. — Una stanza nella taverna della testa del Cinghiale.
Entrano il principe Enrico e Poins.
P. Enr. Ned, te ne prego, esci da questa stanza scomunicata, e fa ch’io rida un poco.
Poins. Dove fosti, Enrico?
P. Enr. Con tre o quattro malandrini in mezzo a sessanta o ottanta botti. Ho toccata la corda più bassa dell’umiltà; ed eccomi confratello in vita e in morte di una masnada di garzoni da taverna, che potrei chiamar coi loro nomi cristiani di Tom, di Dick, di Francis, e che giurano diggià sul loro paradiso che quantunque io non sia ancora che il principe di Galles, son nondimeno il re della cortesia: nè orgoglioso mi trovano come Falstaff, sibbene, umile, stordito, buon fanciullo; talchè quando sarò re d’Inghilterra non avrò a dire che una parola per disporre