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atto secondo 52


Kent. Alcun altro. Ma perchè venne il re con seguito sì poco numeroso?

Buff. Se tu fossi stato posto ai ceppi per una tale dimanda, l’avresti meritato.

Kent. Perchè, pazzo?

Buff. Vogliamo condurti a scuola dalla formica, onde impari che in inverno non si lavora. — Tutti quelli che seguono i loro nasi, sono condotti dagli occhi, se ne eccettui i ciechi; nè vi è un naso fra venti, che non senta il puzzo di colui ch’è marcio. — Se sopra una gran ruota talora t’appoggi, abbandonala quando scende e precipita da una montagna; seguendola ti scapezzeresti il collo. Ma se vedi qualche Grande innalzarsi e salire, attaccati a lui; ei ti tirerà seco. Allorchè un savio ti dia un miglior consiglio, rendimi il mio. Vorrei però che questo, ch’io ti diedi1, non fosse seguito che dai ribaldi, avvegnachè un pazzo lo proferì. «Costui che ti serve solo pel denaro, nè ti vien dietro che per cerimonia, farà bagaglio appena cominci a piovere, e ti lascerà esposto alla tempesta. Ma io resterommi, il pazzo resterà, mentre il savio batterà le calcagna; il ribaldo che fugge diventa un pazzo; ma il pazzo, pel Cielo, non diverrà un ribaldo».

Kent. Dove imparasti questa canzone, buffone!

Buff. Non certamente fra i ceppi, mentecatto.

(rientra Lear con Glocester)

Lear. Ricusare di parlar meco! Sono stanchi! malati! viaggiarono tutta notte! Vani pretesti, indizi di ribellione. Trovami una migliore risposta.

Gloc. Mio caro signore, voi conoscete l’alterigia del duca, e come sia irremovibile e tenace nelle sue risoluzioni.

Lear. Vendetta! peste! morte! confusione! — Alterigia! quale alterigia? Glocester, Glocester, io voglio parlare al duca di Cornovaglia e alla sua sposa.

Gloc. Bene, mio buon signore; io gli ho instrutti di ciò.

Lear. Gl’instruiste! M’intendi tu, uomo?

Gloc. Sì, mio buon signore.

Lear. Il re vuol parlare a Cornovaglia. Un tenero padre chiede di veder sua figlia; vuol da lei obbedienza. Gli avvertisti di ciò?... Pel mio alito e sangue..... Alterigia! alterigia il duca! Di’ a questo altero duca, che ma no, non ancora; potrebb’essere

  1. Il quale altro non era che: abbandona l’uomo in disgrazia e segui il fortunato.