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ATTO SECONDO


SCENA I.

Rochester. — Un’osteria.

Entra un vetturale con una lanterna in mano.

Vett. Olà! oh! Se non son le quattro del mattino, voglio essere appeso. Il carro di San Carlo1 è già in via e il nostro cavallo non è ancora caricato. Su, su, stalliere!

Stal. È presto, è presto.

Vett. Pregoti, Tommaso, sella bene il mio giumento e ugnigli il dorso con un po’ di burro; la povera bestia è tanto scorticata da far pietà. (entra un altro vetturale)

Vett. I piselli e le fave sono qui bagnati come il diavolo, e questo è appunto il mezzo per ingenerar vermi nel ventre delle nostre povere rozze: questa casa è tutta in disordine, da che lo stalliere Robin morì.

Vett. Povero garzone che non gustò mai pace da che il prezzo dell’avena aumentò: cotesta fu la cagione di sua morte.

Vett. Credo che l’albergo sia il più immondo che trovar si possa sulla via della capitale. Son coperto d’insetti come una tinca.

Vett. Come una tinca? Per la messa, non credo vi sia re nella cristianità che mai fosse meglio punto di quello ch’io nol sia stato dal primo canto del gallo in su.

Vett. Pel Cielo, essi non ne danno mai vasi, onde n’è forza ricorrere al gabinetto: ciò è che popola di insetti le stanze.

Vett. Su stalliere, su dunque spicciati, e il diavolo ti porti.

Vett. Ho un presciutto e due balle di zenzeveri da recare a Londra, fino alla strada di Charingcross.

Vett. Affè! e noi abbiamo polli nei nostri canestri che muoiono di fame; su dunque, maledetto stalliere, e la peste ti consumi! Forsechè non hai occhi? Forse che sei sordo? Se io non bramassi tanto di fenderti il cranio, come di bere un fiasco, vuo’ diventare un bifolco. — Vieni e sii appiccato. — Non hai alcuna fiducia di te? (entra Gadshill)

Gad. Buon giorno, vetturali. Che ora è?

  1. Nome dell’orsa maggiore.