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atto quinto 129


Ricc. Sì, la mano dalla mano, mio amore, e il cuore dal cuore.

Reg. Banditeci entrambi e mandate il re con me.

Nort. L’amore potrebbe desiderarlo, ma la politica lo vieta.

Reg. Ch’io vada dunque dove ei va.

Ricc. Così entrambi, piangendo insieme, non comporremmo che un dolor solo. Piangi tu per me in Francia, io piangerò qui per te. Meglio lontani che vicini, per non mai vederci. Va, misura la tua via coi respiri: io la mia coi gemiti.

Reg. Così la più lunga strada vedrà spargere più lagrime.

Ricc. Due ne verserò ad ogni passo, e se il mio cammino è più breve, la mia profonda tristezza ne allungherà lo spazio. Partiamo, dividiamoci, siamo brevi nelle sponsalizie dei nostri dolori, avvegnachè il loro matrimonio debba durare sì lungo tempo. Un bacio chiuderà le nostre bocche e ci farà lasciarci muti; con questo bacio, io ti do il cuore e prendo il tuo.

Reg. Rendimi il mio; a me non converrebbe il prendere il tuo cuore per farlo morire. (si baciano di nuovo) Così, ora io ho il mio cuore; addio. Ah, vorrei ch’ei scoppiasse con un sospiro!

Ricc. Noi inaspriamo i nostri mali con questi indugi dell’amore: una volta ancora, addio; il resto lo dica l’ambascia.

(escono)


SCENA II.

La stessa. — Una stanza nel palazzo del duca di York.

Entrano York e la Duchessa.

Duch. Milord, mi avevate promesso di finire il racconto dell’entrata dei nostri due cugini in Londra, allorchè l’effusione delle vostre lagrime vi interruppe.

York. Dove rimasi?

Duch. A quel fatal momento, signore, in cui mani feroci e sacrileghe gettavano dall’alto dei veroni polvere e fango sul capo di Riccardo.

York. In quel punto, come vi dissi, il duca, il gran Bolingbroke, cavalcato a un indomito corsiero, che sembrava sentir d’orgoglio ambizioso del suo signore, si avvanzò a passi lenti e maestosi, mentre tutti gridavano: Iddio ti salvi, Bolingbroke. Avreste creduto che i veroni parlassero, tanto vi era accalcata ad ogni ordine la folla dei volti di tutte le età, che vibravano i