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116 vita e morte del re riccardo ii

di ineguaglianze e di ostacoli, e che la mia fortuna, distolta dal suo corso, si avvia al precipizio.

Sig. Ebbene, danzeremo.

Reg. Non saprei conservare il tempo nella danza; mentre il mio povero cuore è in preda a un dolore senza misura: non parliam di danza, fanciulla; qualch’altro sollazzo.

Sig. Signora, novelleremo.

Reg. Di dolore, o di gioia?

Sig. Di entrambe cose, signora.

Reg. Di niuna di esse, fanciulla: perocchè se di gioia fosse, ciò non varrebbe che a richiamare le mie pene, a me, che priva sono di ogni contento, se di mestizia, non si farebbe che accrescere il mio dolore, che non ha d’uopo di essere accresciuto: però mi sarebbe doloroso il compiangere i mali che ho; doloroso il lamentare i beni che più non posseggo.

Sig. Dunque, canterò.

Reg. È bene che tu lo possa; ma mi piaceresti di più piangendo.

Sig. Piangerei, signora, se le mie lagrime valessero a sollevarvi.

Reg. Ed io pure potrei piangere se il piangere mi giovasse, e non avrei bisogno del soccorso delle tue lagrime. — Ma cessa — Odo i giardinieri: ascondiamoci fra le ombre di questi alberi. — Vorrei arrischiare le mie sventure contro un mazzetto di spille, che essi parleranno dello Stato; perocchè ognuno ne favella nei momenti delle grandi catastrofi. — Le gravi calamità son sempre precedute da presagi generali. (La Regina e le signore si ritirano. Entra un giardiniere e due operai.)

Giard. Va a potare quello impronto albicocco, i di cui frutti, come figli ingrati e indocili, fan piegare il padre loro sotto l’oppressione d’un peso eccessivo: puntella quindi il tronco affaticato. — Tu, riseca quei polloni tanto rigogliosi; troncane il capo che si innalza di troppo, e domina sulla nostra repubblica. Tutto deve essere ad un livello nel nostro governo. — Intantochè attenderete a ciò, io estirperò quelle erbe moleste, che rubano senza alcun profitto alla terra succhi che appartengono a fiori salutari.

Op. Perchè pretenderemmo noi nello spazio di questo angusto giardino mantener leggi e norme, allorchè la gran terra cui racchiude l’oceano, il regno nostro, è piena di dumi; e i suoi più bei fiori son cincischiati, i suoi alberi fruttiferi negletti, le sue siepi atterrate e ogni altra pianta manomessa?

Giard. Ristatti in pace. — Quegli che tollerò infierisse tanta