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atto terzo 111


Aum. Signore, una parola.

Ricc. Mi oltraggia doppiamente chi mi blandisce colle sue adulazioni. — Congedate il mio seguito. Fugga ognuno lungi dalla notte tenebrosa in cui Riccardo è sepolto, e vada ad irradiarsi alla luce che rischiara Bolingbroke. (escono)

SCENA III.

Dinanzi al castello di Flint.

Entrano con tamburi e bandiere Bolingbroke e il suo esercito; York, Northumberland, ed altri.

Boling. Così, questa notizia ne arreca che i Gallesi sono dispersi, e che Salisbury si è unito al re che dianzi approdò su questa costa con alcuni intimi amici.

Nort. La novella è vera, dolce signore: Riccardo ha nascosto il suo capo non lungi di qui.

York. Sembrerebbe che lord Northumberland dovesse dire il re Riccardo. — Oh giorno sciagurato, in cui il legittimo sovrano è costretto a celarsi!

Nort. Vostra Grazia non mi intese; fu solo per amore di brevità che omisi il suo titolo.

York. Passò un tempo in cui se aveste osato di essere così breve, vi si sarebbe per tutta licenza accorciato di tutta la lunghezza della testa.

Boling. Non vi offendete, zio, più che non dobbiate.

York. Nè voi, buon cugino, inoltrate più che non convenga, per tema di non smarrire. Il Cielo è al disopra della vostra testa.

Boling. Lo so, zio; e non mi opporrò ai suoi voleri. — Ma chi viene verso di noi? (entra Percy) Ebbene, Enrico; non si arrenderà il castello?

Percy. Il castello è regalmente difeso, milord, contro di te.

Boling. Regalmente! Ma in esso non istanno re.

Percy. Sì, mio buon signore, esso contiene un re! Il re Riccardo è racchiuso fra le mura che là vedete, e con lui sono i lôrdi Aumerle e Salisbury, sir Stefano Scroop, e un venerando prelato di cui non potei sapere il nome.

Nort. Forse il vescovo di Carlisle.

Boling. Nobile lord, (a Nort.) avanzatevi fino alle mura di quell’antico castello, e lo squillare della tromba ne chiami gli abi-