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110 vita e morte del re riccardo ii

malità, le cerimonie, inutili mostre approvate dall’uso. Voi v’ingannaste; e mi avete sconosciuto fin qui: io vivo come voi di pane; sento come voi i bisogni e gli amari dolori; a me occorrono amici quali voi siete. Soggetto a tante necessità, come potete voi dire ch’io sono un monarca?

Ves. Signore, l’uomo saggio non deplora mai i mali presenti, ma usa il presente ad evitare di deplorarne altri nell’avvenire. Temer così il vostro nemico e lasciar che lo sconforto soggioghi la vostra operosità è fortificare colla vostra debolezza la potenza del vostro avversario; e con ciò il vostro folle dolore combatte contro di voi stesso. — Temere ed essere ucciso..... nulla di peggio vi può accadere combattendo..... Lottare e morire è un rendere la morte che si riceve, e distruggere il distruttore: mentre morire tremando è un cedere da schiavo alla morte il tributo della propria esistenza.

Aum. Mio padre ha un esercito; fate ricerca di lui, e sappiate con un membro solo comporre un corpo.

Ricc. Tu mi rimproveri con senno. — Vengo, superbo Bolingbroke, a misurarmi con te, in questo giorno fatale che definirà la nostra sorte. L’accesso del dolore è interamente dissipato; e facile è il vincere noi stessi. — Dimmi, Scroop, dov’è nostro zio colle sue schiere? Parla dolcemente, uomo, sebbene i tuoi sguardi siano aspri.

Scro. Gli uomini giudicano dal cielo dello stato e delle tendenze del giorno: voi potreste del pari leggere nei miei sguardi tristi e abbattuti, che la mia lingua vi serba un racconto anche più funesto. Io compio qui in onta mia la parte di un tormentatore che prolunghi lentamente le vostre agonie, aspettando a vibrare per ultimo il colpo più crudele. Il vostro zio di York si è unito a Bolingbroke: tutti i vostri castelli del nord si sono arresi a lui, e la nobiltà delle provincie del mezzogiorno si è posta sotti suoi vessilli.

Ricc. Dicesti abbastanza. — Maledizione su di te, cugino crudele, (a Aum.) che mi strappasti alla dolcezza che stavo per gustare nella disperazione! Che dici tu ora? Quale speranza ci rimane? Pel Cielo! io odierò con odio mortale chiunque intenderà omai di consolarmi. Andiamo al castello di Flint. Ivi vuo’ morire’ del mio dolore. Si vedrà colà un re, oppresso dalla sventura, sottomettersi alla sventura regalmente. Licenziate gli uomini che mi rimangono; e se ne vadano a lavorare la terra che offre loro ancora qualche soccorso. Per me non ne rimane più alcuno. — Nessuno dica motto per farmi mutar pensiero: ogni consiglio è vano.