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atto quinto 63

tammo quando, dopo questo tremendo combattimento, demmo loro l’addio con una salva di cannoni e ripiegammo sereni le insegne squarciate, restando ultimi sul campo e quasi di esso signori!     (entra un Messaggiere)

Mess. Dov’è il mio principe, il Delfino?

Luig. Qui: quali novelle?

Mess. Il conte di Meluno rimase ucciso, e i nobili Inglesi han disertato di nuovo a sua istigazione: il rinforzo che aspettavate da sì lungo tempo naufragò sulle sabbie di Goodwin.

Luig. Orrende nuove! Sventura a te che me le arrechi! Non credevo di andar soggetto alla tristezza, di cui esse mi opprimono. — Chi è colui che disse che il re Giovanni era fuggito, un’ora o due prima che la notte venisse a separare i due eserciti, stanchi di combattere?

Mess. Chiunque sia stato, ei disse il vero, signore.

Luig. Bene sta. — Vigiliamo adunque e facciam buona guardia questa notte: il giorno non si alzerà prima di me che tentar penso di nuovo le fortune del dimani.     (escono)

SCENA VI.

Una vasta landa nelle vicinanze dell’abbazia di Swinstend.

Entrano il Bastardo e Uberto da diverse parti. È notte.

Ub. Chi è là? Parla, oh! parla prontamente, o faccio fuoco.

Fil. Un amico: chi sei tu?

Ub. Dalla parte d’Inghilterra.

Fil. Dove vai?

Ub. Che fa ciò a te? Perchè non t’interrogherei io sulle tue cose, come tu fai sulle mie?

Fil. Uberto, credo.

Ub. Indovinasti, e voglio ad ogni rischio annoverarti fra i miei amici, tu che conosci così bene la mia voce. Chi sei?

Fil. Chiunque vorrai: e se ti aggrada potrai essermi benigno per credere che discendo per certo lato dalla schiatta dei Piantageneti.

Ub. Dolorosa memoria! Tu, e la cieca notte mi avete fatto arrossir di vergogna1. — Valoroso guerriero, perdona se il mio orecchio non seppe riconoscerti all’accento.

Fil. Avvicinati, avvicinati: quali novelle?

  1. Arturo era di quella famiglia.