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58 | il re giovanni |
i pianti maschi e generosi ch’io ti veggo spargere, e che mostrano a qual tempesta la tua bell’anima sia in preda, rattristano i miei occhi e mi profondano in meraviglia maggiore, che far nol potrebbe la vista dei cieli tutta fiammante di prodigi e di meteore. Solleva la tua nobile fronte, illustre Salisbury, e innalza la tua grand’anima sotto il peso che l’opprime. Lascia codesti pianti ai fanciulli inesperti che non viddero mai le grandi contese del mondo in furore; che non mai assisterono che ai banchetti della fortuna, consapevoli de’ suoi giuochi e del suo sorriso, ma ignari del sangue. Su, seguimi: la tua mano si tufferà nei tesori della prosperità tanto addentro, quanto quella di Luigi: nè avverrà meno per voi, o nobili che mi circondate, e che uniste le vostre forze alle mie. (entra Pandolfo con seguito) Ma già mi pare di udire la voce di un angelo che m’incuori. Vedetelo! Lentamente s’avanza il venerando legato; ei viene a guarentire la vittoria, promettitore il Cielo, e a consacrare colla sua santa parola la giustizia della nostra impresa e dei nostri gestì.
Pand. Salve, nobile principe di Francia; salve, e mi ascolta! — Il re Giovanni si è riconciliato con Roma, e la sua folle resistenza contro i voleri della S. Chiesa, contro il seggio supremo della cristianità, ha ceduto a sentimenti più miti; ripiegate perciò i vostri vessilli minacciosi, e addolcite i selvaggi furori della guerra, ora che il mostro, docile come lione pasciuto dalla mano dell’uomo, riposa tranquillamente ai piedi della pace e non offre più nulla di nocivo, tranne l’apparenza.
Luig. Cardinale, ve ne chieggo perdono: ma io non recederò: io nacqui troppo grande per permettere che mi si regga; per essere l’agente subalterno e passivo, lo strumento servile di una potenza della terra. Fu il vostro soffio che raccese i fuochi assopiti della guerra, fra questo regno e me che l’ho punito; foste voi che forniste nuovi alimenti all’incendio, che troppo divampato è ora per poter estinguersi col debole spiro che l’eccitò. Voi m’insegnaste a conoscere i miei diritti; m’istruiste delle mie legittime pretese; vinceste la resistenza del mio cuore e l’istigaste a questa opera; e venite ora a dirmi che Giovanni ha fatto pace con Roma? Che è a me tal pace? Io succedo ai diritti del giovine Arturo, reclamo questo paese come mio, in virtù del mio illustre imeneo; ed ora che è a metà conquistato, retrocederei perchè Giovanni si è acconciato col Santo Padre? Son io lo schiavo di Roma? Qual danaro Roma fornì essa? quali soldati, quali munizioni, per aver diritto d’interrompere i miei passi? Non fui io che assunsi tutto il fardello? Chi altri che me e i miei vassalli so-