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atto terzo 39


Re Fil. Rannodate i vostri capelli.

Cos. Sì, questo voglio; ma perchè lo voglio, lo potrò io? Io me li sono strappati, gridando: oh perchè non poss’io riscattare mio figlio, come dar posso a questi capelli la libertà! Ed ora io ne invidio lo stato, e vuo’ rimetterli in ceppi, poichè il mio povero figlio è prigioniero. — Cardinale, ti ho udito dire che rivedremo e riconosceremo i nostri amici in Cielo: se questo è vero, rivedrò mio figlio; poichè dopo la nascita di Caino, primo fanciullo, infino a quella di coloro che ora cominciano a vagire, non mai fu generata più graziosa creatura. Ma il dolore, come verme roditore, struggerà quel tenero germoglio e fugherà la nativa bellezza delle sue gote, rendendolo scarno e sparuto, come un moribondo1; se perciò anche risuscita, e mi è dato il rivederlo alla corte del Cielo, io nol riconoscerò; nè mai più, mai più rivedrò il mio vago Arturo.

Pand. Voi persistete nel vostro dolore troppo biasimevolmente.

Cos. Che dice costui, che non ebbe mai figli!

Re Fil. Voi siete così vaga del vostro dolore, come lo foste del vostro fanciullo.

Cos. Sì, il mio dolore mi tien vece di figlio; esso riempie tutti i luoghi in cui solevo vedere quel fanciullo; mi segue come lui, me lo mostra co’ suoi sguardi vezzosi, mi fa udire i suoni della tua voce, e ripetendomi le sue parole, mi ricorda tutte le grazie di cui la natura lo aveva abbellito. Ogni volta che mi si offrono i suoi vestimenti, esso me li riveste colla larva del fanciullo mio, ond’io credo vederlo ancora. Ragione ho dunque per accarezzare il mio dolore. — Addio; se aveste fatta l’istessa perdita che ho fatta io, saprei consolarvene meglio, che voi non ne consoliate me. — Non vuo’ più conservare questi ornamenti sulla mia testa (si strappa il diadema) allorchè la confusione è nella mia anima. — Oh signore, il mio figlio, il mio Arturo, il mio leggiadro figlio! La mia vita, la mia gioia, il mio cibo, il mio intero mondo! Il conforto della mia vedovanza, la sola consolazione dei miei affanni! (esce)

Re Fil. Temo qualche accesso, e vuo’ seguirla. (esce)

Luig. Nulla v’ha più nel mondo che possa piacermi e rendermi lieto. La vita è incresciosa per me, come un insipido racconto di cui s’infastidisce l’orecchio di un uomo che si addome. Il sentimento amaro della vergogna ha talmente indisposto i miei

  1. As an ague’s fit; come un accesso di febbre. Così il testo.