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38 il re giovanni


Cos. Vedete ora, vedete ora gli effetti della vostra pace?

Re Fil. Pazienza, buona signora! Racconsolatevi, gentil Costanza.

Cos. No, non vuo’ nè consigli nè consolazioni. Non voglio che ciò che mette fine a tutti i consigli, la sola e vera consolazione degli sfortunati, la morte, la morte. Oh morte incantevole agli occhi miei! Tu, oggetto di odio e di terrore per l’uomo felice, esci dal seno dell’eterna notte! Sorgi dall’impuro tuo letto! Vieni, ed abbraccierò il tuo scheletro orribile! Affiggerò le mie gote contro le scarne tue ossa! Mi riempirò la bocca colla tua polvere mortale e diverrò uno spettro, oggetto d’orrore simile a te! Vieni, vibra su di me i tuoi più orrendi sguardi, e crederò che tu mi sorrida, e ti darò un bacio tenero, come il bacio di una sposa! Tu, amore degli sfortunati, vieni, vieni a me!

Re Fil. Amabile infelice, cessate!

Cos. No, no, non cesserò finchè mi resterà un soffio per gridare. Oh perchè la mia voce non è essa forte come quella del tuono! Allora nel mio dolore scuoterei il mondo, e sveglierei dal suo sonno quella morte crudele, che non ode la voce di una donna, e sdegna di accudire a’ suoi voti.

Pand. Signora, quello che dite è follia, e non dolore.

Cos. Colpa è in te lo smentirmi in tal guisa. No, io non sono insensata; questi capelli che divelgo sono miei; il mio nome è Costanza; ero sposa di Gefredo; il giovine Arturo è mio figlio, e l’ho perduto. No, io non sono stolta. Ma piacesse al Cielo che lo fossi! perocchè allora io non sentirei i miei mali. Oh se obbliare potessi, di quale sventura perderei la rimembranza! Insegnami tu una filosofia, che mi renda insensata, e ne avrai l’apoteosi. Perocchè non essendo insensata, ma solo profondamente sensibile al mio dolore, la mia facoltà di ragionare mi fornisce motivi e mezzi per liberarmi da tanti guai, e mi insegna di trafiggermi o di strozzarmi. Se fossi insensata, dimenticherei mio figlio; o nella mia demenza non vedrei in lui che un fanciullo di cenci. Ah stolta non sono! e troppo bene sento le varie punture di ogni calamità.

Re Fil. Rannodate le vostre treccie: oh quanto amore si esala da quel tesoro di capelli! Se una sola goccia argentina, una lagrima sola fosse caduta su di essi, dieci mila capelli mercè lei riuniti, ristretti si sarebbero in comunanza di dolore, come fidi, inseparabili e veri amanti, che dalla sventura han tratto argomento di perpetua fedeltà.

Cos. Andiamo in Inghilterra, se v’è grato.