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atto primo 25

tuo pazzo di mentire: di buon grado imparerei quest’arte degli uomini ragionevoli.

Lear. Se menti, furfante, sarai sferzato.

Buff. Stupisco come d’un medesimo sangue sii tu e le tue figlie. Elle vogliono che mi si castighi per aver detto la verità; tu, per aver mentito: e talvolta ancora sono punito per non aver nulla detto. Desidererei esser tutt’altro che pazzo; e nullameno non vorrei cambiarmi con te, zio. Tu hai diviso il tuo impero a metà, e nulla ti riserbasti. Ecco uno de’ tuoi vampiri. (entra Gonerilla)

Lear. Ebbene, mia figlia, d’onde procede quella nube che ti oscura la fronte? Da alcuni giorni il tuo volto è rigido e addolorato.

Buff. Tu eri qualche cosa finchè potevi non curarti del suo amore bisbetico; ma adesso rispondi ad un zero senza valore. Adesso io sono più di te; chè un pazzo io sono, e tu sei nulla. — Su, su, imbriglierò la mia lingua; ne veggo il comando sul vostro viso, (a Gon.) senza che parliate. (canta) «Mum, mum! chi fracido dell’abbondanza non si risparmia un pane pel dì del bisogno, non tarderà a mendicare per le strade». Questi non è più che la borsa in cui un dì si contenne la pecunia. (indicando Lear)

Gon. Signore, non è soltanto il vostro buffone, a cui ogni cosa è lecita; ma altri ancora del vostro insolente seguito sono tuttodì in litigio e contestazioni, e versano tra infami orgie ch’è impossibile di tollerare. Io aveva sperato che questi eccessi sarebbero stati puniti tosto che ve li avessi fatto conoscere; ma comincio a temere, riguardando a quello che avete non ha guari detto e fatto voi stesso, che non proteggiate questo disordine, e nol convalidiate colla vostra approvazione. Se questo fosse, tal colpa richiederebbe censura, e pensar converrebbe ai mezzi d’ovviarvi per l’avvenire. Forse questi mezzi, che nullameno non avrebbero per iscopo che il ristabilimento salutare della quiete, potrebbero essere da voi reputati un’offesa... ma la necessità li comanderebbe, come rimedio pieno di prudenza e di discrezione.

Buff. Voi ben sapete, zio, che «l’uomo riscaldò tanto il serpe col proprio seno, che alfin ne ricevè una mortal puntura». La face dei nostri bei giorni è spenta; ora restiamo nelle tenebre.

Lear. Siete voi nostra figlia?

Gon. Il mio voto sincero sarebbe che voleste far uso della vostra ragione, di cui so che siete largamente fornito, e abbandonaste le bisbetichezze, che da poco in qua mutano sì fattamente il vostro buon carattere da non rendervi più conoscibile.