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atto quinto | 339 |
i spalancheranno; ma manda il tuo nobile cuore davanti a te per annunziare che entri in sembianza d’amico.
2° Sen. Gettane la tua manopola, o qualche altro pegno della tua fede che ne assicuri che non prendesti le armi che per rialzarti, non per rovesciar noi: il tuo esercito intero resterà nella città fino al momento in cui avremo soddisfatti i tuoi desiderii.
Alcib. Eccovi il mio guanto: scendete, e apritemi le vostre porte inviolate; sarà vostra cura di consegnarmi i nemici di Timone e i miei. Essi soli periranno; e per dissipare i vostri terrori, dichiarandovi i miei nobili sentimenti, non uno de’ miei soldati eccederà dal posto che gli avrò assegnato. Se alcuno di essi osasse violare le leggi e le discipline entro cotesta città, i tribunali ne faranno una giustizia severa.
Tutti i Sen. Nobilissimo eroe!
Alcib. Scendete e mantenete le vostre promesse.
(I Senatori discendono, ed aprono le porte; entra un soldato)
Sold. Prode generale, Timone è spento; egli riposa sulla sponda del mare: e sulla sua pietra trovai questa iscrizione che vi porto ripetuta in cera. Cotesti caratteri attestamela mia trista ignoranza.
Alcib. (legge) «Qui giace un misero cadavere, privo di un’anima infelice: non cercar del mio nome: la gangrena vi roda tutti, voi che restate dopo di me! Qui riposo io, Timone, che, vivo, tutti i viventi odiai: passa, e maledici a tuo senno; ma passa e non fermarti». Queste parole, Timone, esprimono con eloquenza i tuoi ultimi sentimenti. Tu avevi in orrore la pietà degli uomini, e disprezzavi quelle sterili lagrime che la natura fa sgorgare dai nostri occhi; nondimeno una sublime idea t’inspirò, quella di far piangere per sempre il gran Nettuno sulla tua tomba per colpe perdonate. Morto è il nobile Timone, della cui memoria l’avvenire si abbellirà. — Conducetemi entro la vostra città in cui reco oliva e spada. La guerra partorirà la pace: la pace raffrenerà la guerra; ed entrambe si alterneranno, sanando i mali l’una dall’altra. — Tamburi, battete. (escono)
fine del dramma.