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338 timone di atene

inoltrato sempre più nei vostri disordini; avete lordati i vostri giorni con mille abusi, prendendo per leggi i vostri ingiusti capricci. Infino ad ora io e quelli che dormivano all’ombra del vostro potere, vissuto abbiamo tenendo con braccia oziose le armi, ed esalando invano gemiti e lamenti. Ora il momento è venuto in cui i nostri ginocchi, troppo a lungo curvati sotto il peso della vostra oppressione, si rialzano, e alfine sdegnati vi gridiamo: «basta». La vendetta, stanca di stragi, andrà ad assidersi e a riposarsi sopra quei seggi, in cui la mollezza con voi si adagiava; e la guerra, feroce e implacata, si avventerà fra le vostre mura, per ispargervi il terrore e la carnificina.

Sen. Giovine eroe, allorchè seppimo le tue prime lagnanze, prima che tu avessi la forza in mano, e potessi ispirarci timore, abbiamo mandato verso di te, per calmare il tuo cruccio, e riparare alla nostra ingratitudine con segni di affetto, che ne dovevano cancellar la memoria.

Sen. Abbiamo voluto anche con un’umile preghiera risvegliare nel cuore dello snaturato Timone l’amore di Atene, promettendogli di esorare l’ingiuria che ne aveva ricevuta. Non tutti fummo crudeli, nè tutti meritiamo d’essere avvolti nella rovina.

Sen. Queste mura non furono innalzate dalle mani di coloro che ti hanno offeso; e il tuo oltraggio non è sì grave, che convenga distruggere queste torri superbe, questi splendidi trofei, e queste illustri accademie, per punire un fallo che è ad essi personale.

Sen. Gli autori del tuo esilio non vivono più; l’onta e la disperazione d’aver mancato di prudenza franse i loro cuori. Nobile Alcibiade, entra nella nostra città a bandiere spiegate; e, se la sete di vendetta ti muove ad infierire sopra un pascolo che la natura abborre, prendi sugli abitanti le decime della morte, e gli sfortunati eletti dal destino periscano.

Sen. Non tutti fummo tuoi nemici; non giusto è di vendicar sui vivi il delitto degli estinti: le colpe non sono ereditarie, come i campi. Perciò, dolce concittadino, fa entrare il tuo esercito; ma lascia la tua collera fuori delle mura; risparmia Atene, tua culla; risparmia i tuoi parenti, che periranno insieme con quelli che ti offesero, se non ascolti che il tuo furore. Entra come il pastore nell’ovile, separa il gregge sano e uccidi l’infetto; ma non isgozzare tutto l’armento.

Sen. Qual che si sia il tuo scopo, toccherai ad esso piuttosto colla mansuetudine che col terrore.

Sen. Batti soltanto col piede le nostre porte ferrate, e tosto