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atto quarto 333

un ritratto più al naturale di te; di tutti gli artefici tu sei quello che adombri meglio la verità e la vita.

Pitt. Voi mi adulate, signore.

Tim. Penso come dico. — E tu nelle tue finzioni, il tuo verso scorre con tanta grazia e dolcezza, che l’arte vi par natura. Nondimeno, miei degni amici, convien ch’io vel dica: voi avete un difetto, ma un difetto de’ più lievi; e non voglio che vi cruciate molto per correggetene.

Poet. e Pitt. Preghiamo Vostro Onore di farcelo conoscere.

Tim. Ve ne avreste a male.

Poet. e Pitt. No, signore; l’udremo con riconoscenza.

Tim. Parlate da senno?

Poet. e Pitt. Non ne dubitate, degno signore.

Tim. È che non v’è alcuno di voi che non si confidi ad un ribaldo che lo tradisce.

Poet. e Pitt. Noi, signore?

Tim. Sì: voi intendete l’impostore che vi adula, lo vedete simulare, conoscete il suo artifizio rozzo, e nullameno lo nudrite, lo riscaldate nel vostro seno. Siate nondimeno sicuri che egli è un fior di scellerato.

Pitt. Non conosco alcun di tal carattere, signore.

Poet. Nè io.

Tim. Udite, io vi amo teneramente; vi darò oro; ma cacciate dalla vostra compagnia quegli astuti ipocriti: strozzateli, pugnalateli, annegateli, esterminateli infine con qualche mezzo, e venite poscia a trovarmi, che vi prodigherò liberamente il metallo che bramate.

Poet. e Pitt. Ditecene il nome, signore, fate che li conosciamo.

Tim. Ponetevi qui voi, e voi là; ognuno di voi solo, e senza compagno: ebbene, un gran ribaldo sta ancora con ognuno di voi. Se là dove sei (al Pitt.) non vuoi che si trovino due scellerati, non lasciarti avvicinare da lui. E tu, (al Poet.) se non vuoi starti presso a un malandrino, fuggi lungi da quest’uomo. — Via di qui, coppia infame; ecco oro, e per oro veniste, miserabili. — V’adopraste per me? Tale ne sia il pagamento. — Tu sei un alchimista, converti in oro questo ch’io ti do. — Lungi di qui, cani infami! (li caccia a bastonate)