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328 timone di atene

mostrarvi da per tutto l’esempio del ladroneggio. Tutto ruba io natura; il sole, colla sua potente attrazione, ruba gli umori al vasto Oceano: la luna, senza pudore, ruba al sole la pallida luce di cui risplende; il mare invade le proprie sponde, e rapisce loro le dighe opposte ai suoi flutti: la terra ruba il suo alimento a tutte le sostanze animali e non produce che a furia di furti. Tutta è latrocinio: le leggi, il di cui giogo vi opprime, la di cui verga vi punisce, sono, pel loro potere tirannico, le più sfrenate derubatrici. Non sia alcuna amicizia fra di voi; ite, derubatevi l’un l’altro; eccovi altro oro. Sgozzate senza pietà; tutto quello che incontrate vi rassomiglia e ruba. Ite ad Atene, aprite, atterratene le officine; non potrete rubar che a ladri. Quest’oro, che io vi do, non v’impedisca di rubare; solo vi ritorni in perpetua perdizione! Così sia. (si ritira nella grotta)

Lad. Volendo farmi amare il mio mestiere me ne ha quasi disgustato.

Lad. È nella malignità del cuore umano il dare ad altri quei consigli che debbono tornar loro funesti.

Lad. Lo crederò un nemico, e rinunzio al mio proponimento.

Lad. Aspettiamo prima di veder la pace in Atene: non v’è tempo così miserabile in cui un uomo non possa diventare onesto. (escono; entra Flavio)

Flav. Oh Dei! è quello il mio padrone! In tale stato d’avvilimento e d’obbrobrio, immagine della miseria e dell’abbandono universale! Oh esempio meraviglioso dei beneficii mal prodigati ai malvagi! Qual mutamento produssero in lui l’indigenza e la disperazione? — Che v’è di più vile sopra la terra, degli amici, se essi conducono così le anime più nobili al più vergognoso e deplorabile fine? Qual secolo è quello in cui l’uomo si vede ridotto ad amare i suoi avversari! Potessi io non concedere il mio affetto che a quegli che mi vuol male, non mai a colui che mi accarezza! — Il suo occhio mi ha veduto; vuo’ mostrargli il mio onesto dolore, e servirlo come mio signore, a costo della mia vita. — Mio caro signore! (Timone esce dalla grotta)

Tim. Via di qui: chi sei tu?

Flav. Mi avete dimenticato, signore?

Tim. Perchè chiedi ciò? Ho dimenticati tutti gli uomini; perciò, se affermi d’esser uomo, ho dimenticato te pure.

Flav. Sono un povero e onesto vostro servo.

Tim. Allora non ti conosco; io non ebbi mai onesti uomini intorno a me; tutti quelli che io mantenevo non erano che mariuoli.