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atto quarto 321

giuramenti farebbero tremare il cielo d’orrore, e fremere gli Dei in Olimpo; ma astenetevi dagli spergiuri; vi lascio alle vostre inclinazioni; siate sempre quello che foste. Colui che tentasse di convertirvi alla virtù, sia egli stesso trascinato da voi nel delitto; attiratelo nei vostri lacci e infiammatelo col fuoco nascosto che vi consuma. Non disertate mai la vostra professione; solo per sei mesi dell’anno provate dolori e pene adeguate all’espiazione dei vostri piaceri. Ornate le vostre fronti con chiome straniere, e coprite la vostra calva testa colla spoglia dei morti. Se essa appartenesse a scellerati spirati sul patibolo, non vale; portatela, e quelle treccie vi incuorino ai tradimenti. Continuate le vostre prostituzioni; miniatevi il volto fino a renderlo lucido come uno specchio, empiendo di belletto le grinze dell’età.

Timan. e Fr. Sta bene; ma dacci oro. — Sii convinto che tutto faremo per esso.

Tim. Attaccate la consunzione a quanti vi si appressano; rendete cadaveri viventi tutti coloro che vi vengono intorno. Soffocate la voce del legista, onde più non s’oda il suo stridulo gergo, in difensione della scellerata causa; coprite di vergognosa lebbra l’ipocrita che declama contro gli stimoli della voluttà in lui onnipossenti. Fate cader per cancrena il naso dell’uomo, che non cerca che il suo bene proprio, con discapito universale. Spogliate i giovani seduttori della capigliatura di cui son vaghi; e i vanitosi guerrieri, sfuggiti incolumi al ferro delle battaglie, suggano dalle vostre vene i più tremendi dolori! Abbattete tutti gli uomini con uno stesso flagello: e i vostri impudichi ardori dissecchino quante sorgenti ha la voluttà, e annullino per sempre i germi delle popolazioni! Eccovi oro; ite, distruggete gli altri, e poscia questo metallo voi, a vostra volta, distrugga; talchè una istessa fossa racchiuda la vittima e il suo uccisore.

Fr. e Timan. Altri consigli ed altro denaro, generoso Timone.

Tim. Quanto maggiore sarà il numero delle prostitute, tanto più grande sarà quello dei mali. Adempite il vostro ufficio; data ve ne ho la mercede.

Alcib. Battete, tamburi, e andiam verso Atene. — Addio, Timone; se la fortuna mi asseconda, verrò a rivederti.

Tim. Se io spero con ragione, non ti rivedrò più.

Alcib. Io non ti feci mai male.

Tim. Sì; tu parlasti bene di me.

Alcib. Chiami ciò un far male?

Tim. Gli uomini tutti i giorni ne fanno il triste esperimento. — Vattene, e prendi teco i tuoi bracchi.