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312 timone di atene


Nob. Era il pensiero che nutrivo allorchè c’incontrammo. Penso ch’ei non fosse a quell’estremo, e che ciò che fece tendesse solo a far prova de’ suoi amici.

Nob. Certamente; e quello che lo mostra abbastanza, e il nuovo banchetto che dà oggi.

Nob. Ben dite. Ei mi spedì un invito cortesissimo; alcuni urgenti affari m’impedivano di accettarlo; ma tanto mi ha pregato che m’è stato forza di arrendermi.

Nob. A me pare incumbevano gravi bisogne; ma ricevere non volle le mie scuse. Dolgomi d’essermi trovato privo di danaro, allorchè mandò a chiedermene.

Nob. Io ne sono inconsolabile, sapendo, come so, il corso che prendono le cose.

Nob. Ognuno dice questo. Quanto chiedeva da voi?

Nob. Mille monete d’oro.

Nob. Mille!

Nob. E da voi?

Nob. M’aveva mandato a dimandare... ma egli viene. (entra Timone con seguito)

Tim. Con tutto il cuore, degni gentiluomini. — Ebbene, come state?

Nob. Ottimamente, signore, allorchè vi sappiamo in buon essere.

Nob. La rondinella non segue l’estate con maggior piacere, che noi Vostra Grandezza.

Tim. (a parte) Nè fugge più prontamente l’inverno; gli uomini rassomigliano a quegli uccelli passeggieri. — Signori, il nostro pranzo vi compenserà del tempo che avete perduto aspettandomi: ricreate intanto le vostre orecchie con questa musica; e se roca vi pare, ci assideremo tosto a mensa.

Nob. Spero che Vostra Signoria non conserverà alcun broncio per aver io rimandato il vostro messaggiero colle mani vuote.

Tim. Oh, non pensate a questo.

Nob. Nobile signore...

Tim. Ah mio degno amico, come state?

Nob. Onorando Timone. Sono confuso per essermi trovato così povero l’altro dì, allorchè Vostra Grandezza mandò da me.

Tim. Ah! obbliatelo.

Nob. Se aveste mandato soltanto due ore prima...

Tim. Una tale ricordanza non vi tolga idee più liete: orsù, si rechino le vivande.

Nob. Tutti i piatti sono coperti!