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atto terzo | 311 |
campo: imperocchè, se la legge è severa, la guerra non lo è meno.
1° Sen. Noi vogliamo la legge, ed ei morirà. Alcibiade, non insistere di più, se non vuoi incorrere nella nostra disgrazia; amico o fratello, che spande il sangue altrui, deve il proprio alla legge.
Alcib. Convien dunque ch’ei muoia! No, ciò non può essere: ve ne scongiuro, conoscetemi.
2° Sen. Come?
Alcib. Rammentatevi chi sono.
3° Sen. Ebbene, chi?
Alcib. Non so indurmi a credere senonchè la vecchiaia abbia cancellato dalla vostra memoria il mio nome: altrimenti non mi si vedrebbe qui ai vostri piedi, supplice per una grazia sì volgare, che ancora mi si rifiuta. Voi riaprite le mie antiche piaghe.
1° Sen. Osi tu provocare la nostra collera? Ascolta; non è che una parola, ma il suo effetto è grande; non ti esiliamo per sempre.
Alcib. Esiliar me?... Espellete piuttosto la vostra demenza, espellete l’usura che disonora il Senato.
1° Sen. Se dopo due soli dì, Atene ti vede ancora, aspetta da noi il giudizio più severo: e per darti prova della nostra fermezza, la condanna pronunciata sarà eseguita sull’istante. (escono i senatori)
Alcib. Possano gli Dei farvi invecchiar tanto da non mostrar più in voi che scheletri abborriti! La mia rabbia è al colmo. — Io facevo fuggire i loro nemici, intantochè essi se ne stavano qui utenti a contare un denaro che prestavano con empia frode. — Ed io, io non son ricco che di ferite. — Tale è dunque la mercede che ottengo? Tale il balsamo che questo avaro Senato versa sulle piaghe de’ suoi guerrieri? L’esilio!... Non me ne dolgo: non biasimo questo bando; è un’ingiuria che accende tutto il mio sdegno e muove il mio braccio contro Atene. Corro a rianimare il coraggio del mio esercito sedizioso e a cattivarmene l’affetto. V’è gloria in combattere numerosi nemici; e i guerrieri non devono, più che gli Dei, tollerare impunemente le offese. (esce)
SCENA VI.
Una magnifica stanza in casa di Timone.
1° Nob. Buon giorno a voi, signore.
2° Nob. Vi rendo il saluto. Credo che l’onorevole Timone non volesse che sperimentarci l’altro giorno.