Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/32


atto primo 21

rato per gli interessi di lui. (suono di corni al di dentro; quindi Lear, cavalieri e seguito).

Lear. Mi si imbandisca tosto la mensa. Ite: non l’indugio di un istante. (esce uno del seguito) — Olà! chi sei tu?

Kent. Un uomo, signore.

Lear. Qual professione eserciti? che chiedi da noi?

Kent. La mia professione sta nell’essere veracemente quel che rassembro; nel servir fedelmente quegli che pone in me fiducia; nell’amar chi è onesto; nel conversare con chi è savio; nel parlar poco; nel temere i giudizi; nel combattere quand’è necessario; e nel non mangiar pesce1.

Lear. Chi sei?

Kent. Un cordiale ed onesto amico, povero quanto il re.

Lear. Se così povero sei come suddito, come egli lo è come re, veramente non possiedi ricchezze. Che vuoi?

Kent. Servire.

Lear. Servir chi?

Kent. Voi stesso.

Lear. Mi conosci?

Kent. No; ma voi avete nel vostro aspetto un carattere che mi fa desiderare di chiamarvi mio signore.

Lear. Che è questo?

Kent. Un’aura di maestosa autorità.

Lear. Quali servigi sai rendere?

Kent. So conservare un onesto secreto; correre a cavallo e a piedi; impacciare una curiosa novella raccontandola; ed esporre un messaggio chiaro in tutta la sua semplicità. Sono atto a disimpegnare tutti gli uffici, di cui gli uomini volgari sono capaci; e la mia prima qualità è la diligenza.

Lear. Che età hai?

Kent. Non sono tanto giovine, signore, per innamorarmi d’una donna al solo udirla cantare: nè tanto vecchio per vagheggiarla in ogni suo movimento: mi trovo sul dorso quarantott’anni.

Lear. Seguimi; tu mi servirai: se dopo il pranzo non ti amo meno d’ora, non mi dividerò da te. — Il pranzo, olà! il pranzo! — Dov’è il mio pazzo, il mio buffone? Ite, e fatelo venir qui. (entra il maggiordomo) Voi, messere, olà! ov’è mia figlia?

  1. Sotto il regno di Elisabetta, i cattolici romani, o papisti, come si chiamavano, erano risguardati quali nemici dello Stato. Di qui la volgar frase: È un valentuomo, che non si ciba di pesce il venerdì nè il sabato; per dire d’un buon cittadino, d’un amico dei governo, d’un protestante.