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306 | timone di atene |
Or. Lucio? Come ci scontriamo noi in questo luogo?
Luc. Dom. Credo che uno stesso oggetto ci conduca tutti; per me vengo per danaro.
Tit. Così costoro ed io. (entra Filoto)
Luc. Dom. E Filoto certo ancora!
Fil. Buon giorno a tutti.
Luc. Dom. Ben venuto, fratello; che ora credete sia?
Fil. Il tempo corre dietro alle nove.
Luc. Dom. Diggià?
Fil. E questo signore non si è ancora veduto?
Luc. Dom. Non ancora.
Fil. Ne stupisco; ei soleva mostrarsi brillante come il sole fino dalle sette del mattino.
Luc. Dom. Sì, ma i bei giorni sono passati per lui. Badate che il corso dell’uomo prodigo è raggiante come quello dell’astro maggiore, ma, a simiglianza di esso, non si rinnova sempre. Temo che il gelato inverno stia nella borsa del nobile Timone; vuo’ dire che vi si possa innoltrar ben addentro la mano senza trovarvi alcuna cosa.
Fil. Temo come voi ciò.
Tit. Vuo’ farvi osservare una strana analogia; il vostro signore vi manda qui per danaro?
Or. Veramente così fa.
Tit. E porta intanto i gioielli che gli ha dati Timone, e pei quali io pure vengo a chieder danaro.
Or. S’io lo fo, è mio malgrado.
Luc. Dom. Non è egli strano che Timone paghi più che non deve? È come se il vostro padrone mandasse a chiedere il prezzo dei gioielli ch’egli medesimo porta.
Or. Questa missione mi pesa, gli Dei me ne sono testimoni; so che il mio padrone ha avuto una ricca parte alle prodigalità di Timone, e una tale ingratitudine è più rea che se rubato gli avesse.
1° Var. Dom. Il mio credito è di tre mila corone: quale è il vostro?
Luc. Dom. Cinquemila.
1° Var. Dom. Enorme somma, e che fa vedere che la confidenza del vostro signore sorpassava quella del mio; altrimenti le due somme sarebbero eguali. (entra Flaminio)
Tit. Uno dei domestici del nobile Timone.
Luc. Dom. Flaminio! Una parola, te ne prego: il tuo padrone sta per escire?