Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/316


atto terzo 305

procedimento mostra in lui poco senno e poca affezione. Doveva ei riputarmi il suo ultimo sussidio? I suoi amici, come altrettanti medici ch’ei chiama un dopo l’altro, lo dichiarano incurabile, ed io dovrei assumermi la sua guarigione? Offeso ne sono, sdegnato: egli avrebbe dovuto meglio apprezzare il mio grado. Non veggo ombra di ragione nel suo modo di comportarsi; quale stoltezza! Io era il primo a cui dovea aver ricorso: perocchè in fine sono io, lo confesso, il più beneficato da lui; or come mi bandì egli tanto dalla sua memoria da credere che sarei stato l’ultimo a dimostrargli la mia riconoscenza? No; di più non ne occorre per rendermi oggetto di riso agli occhi di tutta la città, e farmi passare fra i grandi di qui per un uomo senza delicatezza e senza principii. Vorrei, e fosse stata triplice la somma ch’ei chiede, che pel primo ei mi avesse scelto, non fosse altro che per l’onore dei miei sentimenti; e avrei avuto abbastanza cuore per rendergli tal servigio. — Ritornatevene, e alla fredda risposta degli altri suoi amici aggiungete questa: chiunque offenderà il mio onore non vedrà il mio danaro. (esce)

Dom. A meraviglia! vossignoria è un bello scellerato. Il diavolo non sapeva quel che facesse allorchè dava la politica all’uomo; ei fea danno a se medesimo; perchè non posso credere che alla fine i delitti dell’uomo non facciano parer miti quelli di lui. Con quai magnanimi sentimenti costui colora la propria bassezza! Con quali nomi pomposi ei cuopre la sua malvagità! simile a coloro che, sotto il velo di un ardente patriottismo, mettono tutto un regno in fiamme. Tale è dunque il carattere di quest’amico politico, sopra cui il mio signore fondava la sua miglior speranza? Tutti lo hanno disertato eccetto gli Dei: tutti gli amici suoi sono morti. — Ora le di lui porte, che nei giorni della prosperità non conobbero mai chiavistelli, saranno impiegate a proteggere la sua libertà. Tale è il frutto ch’ei raccoglie dalle sue splendidezze; ma quegli che non sa conservare il suo danaro bisogna alla fine che conservi se stesso entro la propria casa. (esce)

SCENA IV.

La stessa. — Una sala nella casa di Timone.

Entrano due domestici di Varrone, e il servo di Lucio, i quali incontrano Tito, Ortensio, ed altri servi di creditori di Timone che aspettano che questi esca.


Var. Dom. Salute, Tito; salute, Ortensio; godo di trovarvi qui.

Tit. Io pure, gentil Varrone.