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atto terzo 303


Luc. Come?

Stran. Vi dico che ebbe un rifiuto.

Luc. Quali strane novelle! Per gli Dei, ne arrossisco! Negare a un sì magnanimo uomo? Conviene non avere onore. Per me, debbo confessarlo, ho ricevuti da lui mille piccoli attestati di bontà, denaro, vasellamenti, gioielli e simili altre cose, che nulla sono appo ai doni che ha ricevuto Lucullo. Ebbene se, senza preferirlo, mi avesse mandato a chiedere soccorso, non gli avrei mai rifiutata una tale somma nel suo bisogno. (entra Servilio)

Ser. Fortunatamente ecco il signor Lucio; ho tanto corso per vederlo, che son trafelato. — Onorevole signore...

Luc. Servilio! Godo di vederti. Addio. — Raccomandami all’amicizia del tuo onorevole e virtuoso signore, il più caro dei miei amici.

Ser. Così piaccia a Vostro onore, il signor mio mi ha mandato...

Luc. Oh! Che mi ha egli mandato? Quanto gli sono tenuto di tutti i suoi doni. Come potrò io ringraziarlo, dimmi? E che mi manda egli ora?

Ser. Ei vi offre soltanto l’occasione per rendergli un gran servigio; supplica Vostra Grandezza di prestargli cinquanta talenti.

Luc. Veggo bene che Sua Signoria vuol ricrearsi; ei non può abbisognare neppure di cinquanta volte tanto.

Ser. Ma nel momento gli occorre questa piccola somma. Se il caso non fosse così stringente non ve ne richiederei con tanta istanza.

Luc. Parli tu da senno, Servilio?

Ser. Sull’anima mia, signore.

Luc. Che sgraziato sono io ad essermi tolto il mezzo di mostrare in così bella occasione tutta l’onestà dei miei sentimenti! Sfortunato sono veramente nell’aver gettato il mio denaro, son due giorni, per l’acquisto di un piccolo podere, perdendo così l’incontro di farmi onore! Servilio, te lo giuro, dinanzi agli Dei; io non posso far nulla. — Vedi quale stoltezza era la mia! Stavo io stesso per mandar a chiedere denaro a Timone: queste oneste persone ne sono testimonii; ma, per quante ricchezze v’hanno in Atene, non vorrei ora averlo fatto. Raccomandami al tuo signore, colle parole più affettuose. Spero che non perderò nulla della sua stima allorchè vedrà l’impossibilità assoluta in cui sono di compiacerlo. Digli che annovero fra le mie maggiori sventure quella di non aver potuto rendere servigio a un sì degno signore. — Buon