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ATTO TERZO
SCENA I.
La stessa. — Una stanza nella casa di Lucullo.
Dom. Ve l’ho detto, mio signore; ei discende per parlarvi.
Flam. Vi ringrazio, amico. (entra Lucullo)
Dom. Ecco il mio signore.
Luc. (a parte) Uno dei domestici di Timone! Qualche presente, scommetto. — Oh al certo m’appongo; sognai stanotte un argenteo bacino colla sua sottocoppa. — Ebbene, onesto Flaminio; godo di vedervi in mia casa. — Olà, gli si dia una tazza di vino. — (esce il dom.) Come sta il più rispettabile, il più nobile dei cittadini di Atene, il magnifico, il generoso tuo signore e padrone?
Flam. La sua salute è buona, signore.
Luc. Godo di saperlo; ma dimmi, mio amabile Flaminio, che ascondi sotto il tuo mantello?
Flam. In fede, null’altro che una vuota cassetta; e vengo a nome del mio signore a pregare la Grandezza Vostra di riempierla. Ei si trova in grave bisogno e gli occorrono cinquanta talenti; vi prega di volerglieli prestare, nè dubita della vostra sollecitudine a soccorrerlo
Luc. La, la, la, la,... non dubita, dice; oimè, il buon signore! Nobile, nobilissimo uomo, di cui solo può deplorarsi il troppo lusso. — Cento volte ho banchettato con lui, e gli ho aperto il mio pensiero; assistito ho talvolta anche alle sue cene per avvertirlo di diminuire le sue spese soverchie, ma non mai ha voluto seguire i miei consigli, e le mie visite non han potuto correggerlo. Ogni uomo ha un difetto che gli è proprio; il suo è di essere troppo buono; mille volte glie l’ho detto, senza poterlo mai rendere saggio. (rientra il domestico col vino)
Dom. Signore, ecco il vino.
Luc. Flaminio, ti ho sempre stimato uomo savio. Bevi.
Flam. Vossignoria ama di celiare.
Luc. No, ti rendo giustizia. Ho sempre conosciuto in te uno spirito pieghevole e operoso; tu sai giudicare quello che è ragionevole, e quando si presenta una buona occasione sai pren-