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atto primo 293

feccia impura. Parmi che gli uomini dal cuor bugiardo non dovessero possedere gambe sì agili e leste; dovrebbero invece averle piene di gotta. — È dunque così che onesti stolidi prodigano le loro ricchezze per inutili e perfide riverenze?

Tim. Ora, Apemanto, se tu non fossi sì burbero sperimenteresti la mia bontà.

Apem. No, non vuo’ nulla: poichè, se corrompessi me pure, nessuno rimarrebbe per ischernirti della tua follia e commetteresti anche un maggior numero di stoltezze. Tu doni tanto, Timone, che temo dovrai finir in breve per donar te stesso. A qual pro questi banchetti, queste pompe, e queste vane magnificenze?

Tim. Se intendi far onta a miei amici, giuro che non avrò più alcun ritegno per te. Addio, ritorna con musica più gaia. (esce)

Apem. Così tu non vuoi ora intendermi..... Tu non m’udrai più, io ti chiuderò la porta della tua salute. Oh! È egli possibile che l’orecchio dell’uomo sia tanto aperto all’adulazione, e sordo così ai consigli della saggezza! (esce)