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atto primo 291


Tim. Signore, una mensa, coperta di frutti ben poco degni di voi, vi aspetta nell’altra stanza; piacciavi di goderne.

Tutte le Amaz. Con mille ringraziamenti, nobile Timone. (escono con Cupido)

Tim. Flavio...

Flav. Signore.

Tim. Recami il mio piccolo scrigno.

Flav. Sì, mio signore. — (a parte) Altri gioielli! Non convien ostare a’ suoi capricci, altrimenti gli direi... ebbene... in fede dovrei avvertirlo. Allorchè tutto sarà speso, allora vorrà che lo si fosse contradetto. È a compiangersi, che la beneficenza non abbia occhi per veder di dietro a sè; se ciò fosse, non mai uomo cadrebbe in miseria, vittima di un troppo buon cuore. (esce e ritorna collo scrigno)

Nob. Dove sono i nostri servi?

Ser. Qui, signore, parati a ubbidire.

Nob. I nostri cavalli.

Tim. Oh! miei amici, ho anche una parola da dirvi. — Mio buon signore, ve ne scongiuro; fatemi l’onore di accettare questo gioiello; degnatevi riceverlo e portarlo, mio buon amico.

Nob. Son già tanto ricco di vostri doni...

Tutti. E tutti lo siamo. (entra un domestico)

Dom. Signore, parecchi membri del Senato discesero alla vostra porta e vengono per visitarvi.

Tim. Siano i ben giunti.

Flav. Supplico Vostro Onore di ascoltare una parola; essa vi concerne dappresso.

Tim. Dappresso? T’udrò in altro tempo: pregoti, pensiamo a tutto apparecchiare onde far loro la più graziosa accoglienza.

Flav. (a parte) Appena so come. (entra un altro domestico)

Dom. Così piaccia a Vostro Onore, il nobile Lucio, per l’amore che vi porta, vi ha fatto presente di quattro cavalli bianchi come il latte, colle gualdrappe ricamate in argento.

Tim. Li accetto di cuore; fate che tal dono sia degnamente accolto. — (entra un terzo domestico) Ebbene, quali novelle?

Dom. Piacciavi, signore, l’onorevole gentiluomo, il nobile Lucullo vi supplica di fargli dimani compagnia alla caccia e vi manda due coppie di agili levrieri.

Tim. Caccierò con lui; sia ricevuto il suo dono, ma ricambiato come si conviene.

Flav. (a parte) A che riescirà tutto ciò? Ei ne comanda di far provvigioni, di largir ricchi doni mentre il suo scrigno è vuoto;