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288 | timone di atene |
Apem. Resterò dunque a tuo rischio, Timone; venni per osservare, te ne ammonisco.
Tim. Non ti presterò attenzione; sei ateniese e perciò ben venuto. Non debbo esser oggi il padrone di mia casa; pregoti, fa che il mio pranzo mi valga il tuo silenzio.
Apem. Disprezzo il tuo pranzo; esso mi soffocherebbe, prima che io dovessi adularti. — Oh Dei! qual folla di parassiti divora Timone senza ch’egli lo vegga! Soffro mirando tanti uomini affamati tracannarsi il sangue di un sol uomo che, al colmo della follia, vieppiù quindi gli accarezza. Stupisco che l’uomo osi fidarsi all’uomo: parmi che i mortali si dovessero festeggiare senza coltelli. Le loro messe fruttificherebbero, e le loro vite sarebbero in maggior sicurezza. Se ne son notati cento esempi: l’uomo che è ora assiso accanto a lui, che rompe con lui il pane, e beve alla sua salute la tazza che divisero insieme, sarà il primo ad assassinarlo. Ciò si è veduto anche troppo. S’io fossi un gran ricco, temerei di bere; temerei che i miei ospiti esaminassero il mio lato più mortale per tagliarmi la gola. I grandi ricchi non dovrebbero mai bere senza avere la gola coperta di ferro.
Tim. Signore, (parlando a uno dei convitati) con tutto il cuore circoli la coppa.
2° Nob. Fate che s’incominci di qui, mio buon signore.
Apem. Di là? Sta bene: colui è un valente ospite: conosce a meraviglia i tempi. — Timone, tutti quei brindisi faranno infermare te e la tua fortuna. Ecco un liquore, (bevendo un bicchier d’acqua) la di cui debolezza assicura l’innocenza: acqua pura e amica della virtù, tu non rovesciasti mai l’uomo nel fango. Questa bevanda è semplice come il mio alimento; e ad esso si accoppia bene; troppo orgoglio presiede ai gran banchetti perchè vi sa ricordino i ringraziamenti degli Dei.
Azione di grazia di Apemanto.
«Dei immortali, io non prego per alcuno fuorchè per me; nè oro vi dimando. Accordatemi di non divenir mai tanto pazzo da fidarmi di un uomo pel suo giuramento o per la sua sottoscrizione; da fidarmi di una cortigiana per le sue lagrime; di un cane che sembri addormentato, di un carceriere che mi prometta libertà, o dei miei amici, allorchè ne abbia bisogno. — Amen. — Orsù coraggio, i ricchi peccano ed io mi cibo di radiche». (mangia e beve) Possa il contento ricompensarti sempre del tuo buon cuore, Apemanto!
Tim. Capitano Alcibiade, i vostri pensieri sono ora al campo?