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286 | timone di atene |
Alcib. Signore, languivo dal desiderio di rivedervi, e il mio cuore ardente tripudia della vostra vista.
Tim. Siete il benvenuto, signore: prima di separarci passeremo insieme alcuni bei momenti fra piaceri svariati. — Pregovi, entriamo. (escono tutti, fuori d’Apemanto; entrano due Nobili)
1° Nob. A qual’ora del giorno siam noi, Apemanto?
Apem. All’ora di essere onesti.
1° Nob. Una tal ora suonò dall’eterno.
Apem. Più maledetto perciò sei tu che l’obblii sempre.
2° Nob. Tu vai al banchetto del nobile Timone?
Apem. Sì; per vedere come le vivande satollino i furfanti, e come il vino riscaldi i pazzi.
2° Nob. Addio, addio.
Apem. Sei un pazzo a dirmi addio due volte.
2° Nob. Perchè, Apemanto?
Apem. Dovevi ritenerne uno per te, perch’io non intendo di dartene.
1° Nob. Appiccati.
Apem. No, non eseguirò il tuo consiglio; fanne partecipe il tuo amico.
2° Nob. Via di qui, cane indomabile, o te ne caccierò a calci.
Apem. Fuggirò come un cane i calcagni dell’asino. (esce)
1° Nob. Colui va a rovescio del mondo. — Ebbene, entrerem noi, e prenderemo parte alle generosità di Timone? Sì, la bontà stessa non ha un cuore uguale al suo.
2° Nob. La sua beneficenza inesauribile si diffonde sopra tutto ciò che l’attornia. Pluto, il Dio dell’oro, non è che suo intendente: non v’ha servigio leggiero ch’ei non paghi sette volte più che non vale: non lieve dono ch’ei non ricambi in modo che passa tutti i limiti della gratitudine.
1° Nob. Egli ha la più nobile anima che mai governasse un uomo.
2° Nob. Così possa vivere lungamente fra le ricchezze! Volete che entriamo?
1° Nob. Vi terrò compagnia. (escono)