Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1858, III-IV.djvu/296


atto primo 285


Tim. Quanto credi che valga?

Apem. Non uno de’ miei pensieri. — Ebbene, poeta?

Poet. Ebbene, filosofo?

Apem. Menti.

Poet. Non sei tale?

Apem. Sì.

Poet. Dunque non mento.

Apem. Non sei poeta?

Poet. Sì.

Apem. Allora menti: ricordati della tua ultima opera, in cui in una finzione facesti di Timone un virtuoso e degno personaggio.

Poet. Non fu mai una finzione, era verità.

Apem. Degno personaggio! Sì, degno di te, e degno di pagare le tue menzogne: quegli che ama di essere adulato, merita gli adulatori. Dei, perchè non sono io ricco!

Tim. E che faresti essendolo?

Apem. Quello che Apemanto ora fa: odierei i ricchi con tutta l’anima.

Tim. Odieresti te stesso.

Apem. Sì.

Tim. Perchè?

Apem. Per aver formato lo stolto desiderio d’esser ricco. — Non sei tu un mercante?

Mer. Sì, Apemanto.

Apem. Il traffico ti danni, se gli Dei nol vogliono.

Mer. Se lo fa il traffico, lo fanno gli Dei.

Apem. Il traffico è il tuo Dio, e il tuo Dio ti condannerà! (squillo di trombe; entra un domestico)

Tim. Che ci annunzia questa tromba.

Dom. È Alcibiade, e venti cavalieri circa della sua brigata.

Tim. Vi prego, ite loro incontro, e fateli entrare. — (escono alcuni del seguito) Conviene assolutamente che desini con me. — Voi non vi dipartite di qui, finchè io non v’abbia ringraziato, e dopo il pranzo mostratemi il vostro quadro. — Godo, signori, di vedervi tutti. — (entra Alcibiade co’ suoi) Siate il benvenuto, amico!

Apem. Bene sta, bene sta! Oh possa la gotta intorpidirvi le membra, e disseccarvi i muscoli sì molli all’adulazione! È egli possibile che vi sia tanta poca affinità fra tutti costoro e le vane loro cerimonie! In verità tutta la razza umana non è che un esercito di bertuccie e di scimmie.