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270 il mercante di venezia


Lor. Chi giunge con lei?

Stef. Niuno, fuorchè un santo eremita e la sua donzella. Ditemi, ve ne prego, è ritornato il mio signore?

Lor. Non ancora, e nulla abbiamo inteso di lui. — Ma entriamo, Gessica, te ne supplico, e facciamo i necessari apparecchi per ricevere onorevolmente la padrona di questo albergo.

(entra Lancilotto)

Lan. (cantando) Sol, la, la, la, la!

Lor. Chi chiama?

Lan. Sol, la! Avete visto messer Lorenzo e madonna Lorenzo? Sol la! Sol la!

Lor. Lascia le tue grida, e vien qui.

Lan. Sol, la! Dove? Dove?

Lor. Qui.

Lan. Ditegli che è arrivato un corriere spedito dal mio padrone col suo corno pieno di buone novelle. Il mio padrone sarà qui prima dell’alba.     (esce)

Lor. Dolce amica, entriamo ed aspettiamo la venuta loro; e nondimeno... perchè dovremmo entrare? Stefano, mio amico, annunziate, ve ne prego, nel castello che la vostra signora sta per giungere; e conducete i musici qui all’aperto. (Stef. esce). Come dolce riposa questo raggio di luna sopra i cespugli! Qui vogliamo sedere udendo i concenti della musica, perocchè la calma e il silenzio di una notte sì bella si confanno a meraviglia con una dolce armonia. Assiditi, Gessica, e mira, come la vòlta brillante dei cieli è seminata di arene d’oro. Fra tutti quei globi che tu discerni non ve n’ha un solo i di cui movimenti non abbiano un suono celeste, e non s’accordino coi concerti dei Cherubini dall’occhio pieno di giovinezza, tant’è l’armonia che regna presso le anime immortali, ma che noi udir non possiamo finchè la nostr’anima è racchiusa in questo grossolano involucro di fragile argilla. — (entrano i musici) Venite e svegliate Diana con un inno; beate coi più melodiosi accordi l’orecchio della vostra signora, e attiratela verso la sua casa cogli incanti della musica.

Ges. Io non mi sento mai lieta allorchè odo una musica dolce.

(musica)

Lor. La ragione è che i vostri spiriti inchinano alla mestizia; perocchè mirate anche un selvaggio armento, o una mandra d’indomiti cavalli che pazzamente nitriscano, e manifestino l’ardore del loro sangue: se per caso odono il suono d’una tromba, o colpiti rimangono da concenti musicali, tosto si fermano, e i loro sguardi feroci si addolciscono per le soavi impressioni dell’armo-