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atto terzo | 257 |
Lor. Mi giustificherò meglio di quest’accusa verso la Repubblica, che egli nol potrà della gravidanza della Mora. La Mora, Lancilotto, è madre a cagion vostra.
Lan. Stupisco di essere cagione di tale effetto. Mia intenzione non fu mai di renderla madre.
Lor. Via, mariuolo, va ad ordinare il pranzo.
Lan. Volo a servirvi1.
Lor. Oh raro discernimento! Quanto è facile il celiare sulle parole! Quello sciocco si è appropriato una quantità di arguzie di cui si fa bello all’occasione, e che valgono a sconcertare ogni discorso. — Ebbene, Gessica, come state? Quale vi rassembra la sposa di Bassanio?
Ges. Amabile oltre ogni espressione. È molto bene che il signor Bassanio meni una vita regolare, perocchè avendo la fortuna di possedere una tale sposa, ei prova qui in terra tutte le felicità del cielo; e se non fosse atto a sentirle qui in terra, non sarebbe giusto che andasse mai in cielo. Sì, se due divinità facessero qualche scommessa, e per prezzo ponessero due donne della terra, e Porzia fosse una di quelle, converrebbe assolutamente aggiungere qualche cosa all’altra, perocchè questo povero mondo non ha la sua simile.
Lor. Ebbene, tu hai in me uno sposo, che vale il di lei prezzo come moglie.
Ges. Chiedimi anche intorno a ciò la mia sentenza.
Lor. Lo farò appena abbiamo pranzato.
Ges. Lascia che ti lodi finchè mi sento in appetito.
Lor. No, aspetta, te ne prego, a parlarmene a mensa: là venuti, io digerirò quello che tu potessi dirmi, insieme col resto.
Ges. Bene, vi dirò là quello che meritate. (escono)
- ↑ Stavano qui alcuni giuochi di parole che abbiamo stimato bene di omettere per le cagioni già altrove esposte.